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Ancora sul lavoro sportivo dilettantistico – I° parte

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Due recenti sentenze delle sezioni lavoro – Corte Appello Firenze n. 197/17 del 16/02/2017 e Corte Appello Milano n. 1530/17 del 12.09.2017 – che si inseriscono in un filone giurisprudenziale ormai in consolidamento, ci consentono di tornare a parlare di inquadramento sotto il profilo lavoristico di coloro i quali svolgono attività sportive dilettantistiche.

Il tema è noto: i compensi per prestazioni sportive dilettantistiche hanno trovato una loro precisa collocazione sotto il profilo fiscale tra i redditi diversi (articolo 67, comma 1, lett. m), Tuir), tuttavia, non vi è un analogo inquadramento sotto il profilo lavoristico.

Pertanto, a far data dalla L. 342/2000 (che ha introdotto la disciplina oggi in esame) si controverte se tale forma di emolumento a tassazione agevolata (si ricorda che la sua collocazione tra i redditi diversi ne fa conseguire il suo non assoggettamento a ritenute previdenziali e assicurative e alla conseguente copertura) si possa riconoscere “anche” a chi svolge detta attività in via principale ancorché non esclusiva o comunque come fonte prevalente di reddito.

A fronte di una iniziale corrente giurisprudenziale di segno contrario (vedi tra tutte: Cassazione Civile n. 31840/2014) alla possibilità di inquadrare prestazioni di “lavoro” tra quelle per le quali sono previsti i compensi in esame, sono state pubblicate in questi ultimi anni diverse sentenze, (in speciale modo di Corti d’Appello) che hanno statuito la natura di “norma speciale” dei compensi sportivi (sul punto vedi anche la circolare n. 1/16 dell’ispettorato nazionale del lavoro) ritenendoli, pertanto, giustificati anche in quei casi in cui si controverta di rapporti la cui causa sia una vera e propria prestazione lavorativa.

In questa direzione si inseriscono anche le due decisioni in esame.

I Giudici toscani hanno esaminato una opposizione a una cartella esattoriale emessa dall’INPS, la cui validità era stata confermata in primo grado, per mancato pagamenti di contributi previdenziali da parte di una società sportiva dilettantistica nei confronti di tre istruttori di nuoto ed una addetta alle pulizie e alla reception dell’impianto sportivo.

Il ricorso si fondava, essenzialmente, nella censura della nozione di professionalità nello svolgimento della prestazione da parte dei lavoratori (e quindi della impossibilità di catalogarla quale prestazione dilettantistica) posta a fondamento della decisione impugnata.

Il ragionamento del Giudicante di secondo grado parte dall’esame del decreto ministeriale del 15.03.2005 che, rideterminando le categorie di lavoratori da iscrivere all’allora ENPALS, inserisce anche gli addetti agli impianti sportivi “indipendentemente dal carattere subordinato o meno delle prestazioni rese”. Da ciò deriva che: l’eccezione (all’onere fiscale e contributivo) è costituita dall’articolo 67, comma 1, lett. m) del D.P.R. 917/1986 …”.

Citando poi l’interpretazione autentica recata dall’articolo 35, comma quinto, della L. 14/2009, (“nelle parole esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche … sono ricomprese la formazione, la didattica, la preparazione e l’assistenza all’attività sportiva dilettantistica …”) si ricava l’intenzione di “estendere l’esonero contributivo anche ad attività rese al di fuori delle vere e proprie manifestazioni sportive ma che a queste fossero funzionali …”; ciò porta ad affermare che: “le sole attività sportive dilettantistiche poggiano su un riconoscimento pubblico (affiliazione delle società alla Federazione riconosciuta dal CONI) che a sua volta realizza una sorta di presunzione del carattere non professionale delle prestazioni svolte nel suo ambito … in ogni caso deve presumersi che la legge abbia inteso proteggere e favorire la peculiare figura del lavoro nel campo dilettantistico”.

Va ricordato come la Corte Toscana era stata un po’ l’apripista di tale orientamento giurisprudenziale (vedi la sentenza n. 683/2014: “... la finalità perseguita dal legislatore è quella di realizzare un regime di favore a vantaggio delle associazioni sportive dilettantistiche esentando dal pagamento dell’imposta (e della contribuzione) quanto queste corrispondano in forme di rimborsi forfettari o di compensi non solo agli atleti ma anche a tutti coloro che collaborino con mansioni tecniche o anche gestionali, al funzionamento della struttura riconosciuta dal CONI. Vi sottende, ovviamente, la necessità di incentivare questo tipo di attività e di alleggerirne i costi di gestione, sul presupposto della oggettiva valenza della funzione, anche educativa che consegue all’esercizio di attività sportive non professionistiche”) teso a riconoscere la “specialità” del rapporto di lavoro sportivo dilettantistico riconosciuta come tale anche dalla già citata circolare n. 1/16 dell’ispettorato nazionale del lavoro.

La circostanza che l’articolo 67 del Tuir definisca “compenso” l’emolumento in esame rafforza la tesi della Corte circa la compatibilità con la natura corrispettiva della prestazione lavorativa.

Sulla base di tali presupposti di diritto il Giudicante di secondo grado ha accolto, per la parte relativa agli istruttori, l’appello della società sportiva dilettantistica.

 

 


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