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I nuovi obblighi contabili 2017 per gli enti non commerciali

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In conseguenza delle modifiche apportate dalla legge di Bilancio 2017 sono rilevanti le novità che interessano la contabilità degli enti non commerciali ammessi al regime semplificato.

Sicuramente significativo è l’aumento di cui al comma 50, articolo 1 L. 232/2016 a 400.000 euro (rispetto ai precedenti 250.000) del limite di ricavi previsto per l’accesso al particolare regime forfettario della L. 398/1991.

È piuttosto probabile che, a seguito di questo innalzamento (che fa coincidere il limite di ricavi con quello previsto dall’articolo 18 del D.P.R. 600/1973 per l’accesso alla contabilità semplificata in caso di attività aventi ad oggetto la prestazioni di servizi) la stragrande maggioranza degli “aventi diritto” opti da quest’anno per il regime forfettario.

È indubbia, infatti, la convenienza di questo regime, sia per quanto riguarda il risparmio di imposta (lres, Irap e Iva sono calcolate a forfait sui ricavi) sia per quanto riguarda l’alleggerimento degli oneri contabili (è previsto solo l’obbligo di effettuare un’unica indicazione cumulativa mensile per le operazioni effettuate sul registro conforme a quello approvato con D.M. 11 febbraio 1997, opportunamente integrato).

Non tutti gli enti non commerciali che nell’ambito dell’attività d’impresa non superano il limite previsto per la contabilità semplificata possono tuttavia esercitare l’opzione per l’applicazione della L. 398/1991 che, lo ricordiamo, è riservata agli enti “di tipo associativo”.

Chi non ha la forma giuridica di associazione (es. fondazioni, comitati, enti religiosi non associativi ecc.) deve necessariamente fare riferimento, per le attività rilevanti ai fini fiscali, esclusivamente alle regole ordinarie previste per la contabilità degli enti non commerciali e, segnatamente, all’articolo 20 del D.P.R. 600/1973 che, a sua volta, rinvia all’articolo 18 dello stesso decreto con riferimento alla descrizione delle regole contabili per le “imprese in contabilità semplificata”.

Di conseguenza anche gli enti non commerciali che, per gestire l’attività commerciale, adottano il regime di contabilità semplificata, a decorrere dal 2017 sono soggetti alle nuove regole disposte dall’articolo 1, comma 22, della L. 232/2016 (che ha modificato il citato articolo 18, D.P.R. 600/1973).

A partire da quest’anno, quindi, anche gli enti non commerciali, per gestire l’attività d’impresa in contabilità semplificata devono obbligatoriamente seguire il criterio di cassa, non essendo più possibile effettuare le registrazioni per competenza. Tralasciando le considerazioni operative legate al passaggio dal vecchio al nuovo regime, che riguardano la generalità dei soggetti in contabilità semplificata, ci occupiamo in questa sede dei problemi specifici che interessano gli enti non commerciali in forza delle particolari disposizioni normative che li riguardano.

Si fa riferimento, in particolare, agli articoli del Tuir modificati dal D.Lgs. 460/1997 che hanno imposto di effettuare una netta separazione tra attività commerciale e attività istituzionale degli enti non commerciali, prevendendo l’obbligo di ripartire i costi promiscui secondo un preciso rapporto, previsto per legge.

La presenza di due ambiti contabili diversi presuppone necessariamente che i principi di contabilizzazione siano gli stessi pena l’impossibilità di predisporre il bilancio complessivo che illustri sia l’attività istituzionale che quella commerciale dell’ente.

E che dire della percentuale di scorporo dei costi promiscui calcolata, secondo il disposto del comma 4, articolo 144 Tuir, ovvero in base al rapporto tra ricavi commerciali e ricavi complessivi (commerciali + istituzionali)?

Va da sé che gli elementi che compongono il rapporto devono necessariamente essere commensurabili se no si corre il rischio che l’indicatore non dia un’informazione corretta. È inoltre necessario verificare la prevalenza, anche quantitativa, dell’attività istituzionale rispetto a quella commerciale per il rispetto del vincolo imposto dall’articolo 149 del Tuir: anche sotto questo profilo, per consentire un’applicazione corretta del principio sotteso alla norma citata, le regole di registrazione devono essere le stesse per entrambi i regimi.

Per tutti questi motivi è quindi evidente che, imporre dal 2017 il regime di cassa per l’attività commerciale, porta necessariamente la conseguenza che anche l’attività istituzionale debba essere gestita con criteri analoghi a quelli previsti per la gestione d’impresa.

Quindi delle due l’una: o l’ente adottava già in passato il regime di cassa anche per le registrazioni relative all’attività istituzionale (ipotesi verosimile nelle realtà di minori dimensioni e poco strutturate dal punto di vista amministrativo) oppure, nei casi in cui sia stato in precedenza seguito il regime di competenza sia per l’attività commerciale che per quella istituzionale, non resterà che esercitare l’opzione prevista dal comma 8 dell’articolo 18 che consente l’applicazione per il regime ordinario.

Non si ritiene infatti, in questo caso, che l’opzione per il criterio della “registrazione” di cui al comma 4 dell’articolo 18, D.P.R. 600/1973 possa dirsi risolutiva in questa fattispecie (rimane infatti il problema di comparabilità con la gestione istituzionale).

Un ultimo aspetto da considerare è il coordinamento delle nuove regole con il disposto dell’articolo 145 del Tuir che consente agli enti ammessi alla contabilità semplificate, di determinare il reddito applicando ai ricavi determinati coefficienti.

A questo proposito dovrà essere chiarito se anche per la determinazione del reddito imponibile Ires applicando i coefficienti forfettari si dovrà tenere conto, a partire da quest’anno, del nuovo regime di cassa.


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