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Indicazioni operative dell’ispettorato nazionale del lavoro in materia di prestazioni sportive dilettantistiche

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Il neocostituito Ispettorato Nazionale del Lavoro ha emanato, con propria lettera circolare del primo dicembre, prot. 1/2016, le proprie indicazioni operative sul trattamento, sia ai fini previdenziali che assicurativi, dei compensi erogati dalle società e associazioni sportive dilettantistiche, sia per quanto riguarda i soggetti che svolgono “esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche” che per coloro che svolgono “collaborazioni coordinate e continuative a carattere amministrativo – gestionale” così come queste figure sono disciplinate, ai fini fiscali, dal combinato disposto di cui agli artt. 67 primo comma lett. m) e 69 secondo comma del Tuir.

 

La presa di posizione appare quanto mai opportuna alla luce degli ondivaghi orientamenti fino ad oggi ricavabili dalla giurisprudenza in materia e i notevoli contenziosi che ne sono derivati e nasce nel quadro della collaborazione sorta all’interno dei tavoli tecnici Coni – Agenzia delle entrate – Inps – Ministero del Lavoro.

 

Il punto di partenza nasce dal mancato inquadramento, sotto il profilo del diritto del lavoro, dell’attività posta in essere dai soggetti che prestano la propria opera, a carattere oneroso, in favore di società e associazioni sportive dilettantistiche.

 

Era stata costretta la stessa Suprema Corte di Cassazione a scrivere che: “« … va aggiunto che la figura del lavoratore sportivo dilettante non forma oggetto di una disciplina giuridica compiuta, né nell’ordinamento sportivo, né in quello nazionale. Manca, infatti, uno specifico inquadramento sotto il profilo del diritto del lavoro mentre si rinviene la regolazione di taluni aspetti specifici, soprattutto nel settore del diritto tributario ….» (C. Cass. sent. 602/2014).

 

Il problema, rimasto insoluto anche dopo l’equivoca formulazione dell’art. 2 secondo comma lett. d del decreto legislativo 81/2015, era se l’inquadramento fiscale dei compensi sportivi (che per la qualificazione come reddito diverso producevano come conseguenza l’assenza di copertura previdenziale e assicurativa) fosse applicabile o meno anche a prestazioni che avessero come “causa” una prestazione di lavoro oppure se fosse una fattispecie, quella dei compensi sportivi, applicabile solo a prestazioni a carattere associativo o, comunque, non a carattere lavorativo.

 

La Giurisprudenza si era indirizzata, in questi ultimi anni, anche se non in maniera univoca (ex pluris vedi C. Cass. 31840/2014) nel tentativo di legittimare e tipizzare una fattispecie di “lavoro sportivo dilettantistico” che prescindesse dalla indagine sulla natura autonoma o subordinata del rapporto (“..la finalità perseguita dal legislatore è quella di realizzare un regime di favore a vantaggio delle associazioni sportive dilettantistiche esentando dal pagamento dell’imposta (e della contribuzione) quanto queste corrispondano in forme di rimborsi forfettari o di compensi non solo agli atleti ma anche a tutti coloro che collaborino con mansioni tecniche o anche gestionali, al funzionamento della struttura riconosciuta dal Coni. Vi sottende, ovviamente, la necessità di incentivare questo tipo di attività e di alleggerirne i costi di gestione, sul presupposto  della oggettiva valenza della funzione, anche educativa che consegue all’esercizio di attività sportive non professionistiche ..“. C. App. Firenze n. 683/14; “..  Non sono condivisibili le conclusioni cui è pervenuto il giudice di primo grado nel delineare un nesso tra la natura del rapporto di lavoro e la qualifica di «esercente attività sportiva dilettantistica» che ben può caratterizzare qualsiasi tipo di rapporto di lavoro, rendendo pertanto fruibili i relativi sgravi fiscali e contributivi a prescindere dalla natura autonoma o subordinata dello stesso… “ C. App. Bologna sent. N. 250/16) che risulta oggi confermata dalla presa di posizione assunta dal servizio ispettivo con la circolare in commento.

 

Inserendosi in un filone che aveva già visto, in senso conforme, la circolare del Ministero del Lavoro del 21.02.2014 prot. N. 4036 (“ … farsi promotore d’intesa con l’INPS di iniziative di carattere normativo volte ad una graduale introduzione di forme di tutela previdenziale a favore dei soggetti che nell’ambito delle associazioni e società sportive dilettantistiche… svolgono attività sportive dilettantistica nonché attività amministrativo-gestionale non professionale … ”) e del successivo interpello n. 6/2016, viene specificata la natura di “normativa speciale” applicabile al caso di specie volta a “favorire e ad agevolare la pratica dello sport dilettantistico”.

 

Pertanto, procede il documento in commento, “la corretta individuazione dei soggetti eroganti (ASD, SSD) attraverso il registro delle società sportive costituisce la condizione principale per l’applicazione del regime agevolativo” e dei soggetti beneficiari individuando come tali coloro i quali svolgano le attività necessarie per lo svolgimento dell’attività. In tale direzione per poterne individuare le figure la circolare ricorda: “ … a solo titolo di esempio è possibile citare: gli istruttori, gli addetti al salvamento delle piscine, i collaboratori amministrativi e ogni altra figura espressamente prevista dai regolamenti federali per lo svolgimento dell’attività” .

 

         Opportunamente la circolare chiarisce che il requisito della professionalità, intendendosi come tale la partecipazione a corsi di formazione organizzati dalla propria Federazione di appartenenza, “non rappresenta in alcun modo un requisito, da solo sufficiente, per ricondurre tali compensi tra i redditi di lavoro autonomo, non essendo tale qualifica requisito di professionalità ma unicamente requisito richiesto dalla Federazione di appartenenza per garantire un corretto insegnamento della pratica sportiva”. D’altro canto, su questo specifico punto, occorre ricordare che lo stesso art. 67 primo comma lett. m) del tuir prevede come requisito la “non professionalità” solo per le collaborazioni coordinate e continuative di natura amministrativa – gestionale (e per quelle, estranee al tema in esame in favore di cori, bande e filodrammatiche) e non, anche, per l’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche. Viene precisato anche: “che la stessa regolamentazione prevista dal decreto legislativo n. 15/2016 in attuazione della direttiva 2013/55/UE del Parlamento europeo, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali che attribuisce al Coni la competenza per il riconoscimento delle professioni di maestro di scherma, allenatore, preparatore atletico, direttore tecnico sportivo, dirigente sportivo e ufficiale di gara deve essere intesa come uno strumento volto a fissare i criteri che consentono anche a soggetti stranieri la possibilità di svolgere in Italia le attività sopra elencate”.

 

         Va anche detto che il termine “compenso”, inserito dal legislatore fiscale nella norma indicata, innovando e integrando la precedente disciplina che parlava solo di indennità di trasferta e di rimborso forfettario di spesa, sembrava  proprio andare nella direzione di disciplinare, sotto il profilo fiscale, il riconoscimento economico per una prestazione a carattere corrispettivo.  

 

In questo quadro viene precisato, quindi, che l’applicazione della norma agevolativa che riconduce tra i redditi diversi le indennità erogate ai collaboratori è consentita, senza ulteriori considerazioni legate alla natura autonoma o subordinata della stessa, sulla base di quanto ricordato dalla giurisprudenza sopra indicata, al verificarsi delle seguenti condizioni:

 

“1.     Che l’associazione / società sportiva dilettantistica sia regolarmente riconosciuta dal Coni attraverso l’iscrizione nel registro delle società sportive;

2.      Che il soggetto percettore svolga mansioni rientranti, sulla base dei regolamenti e delle indicazioni fornite dalle singole federazioni, tra quelle necessarie per lo svolgimento delle attività sportivo – dilettantistiche così come regolamentate dalle singole Federazioni”

 

         Sulla base di tale previsione acquista anche rilevanza il tesseramento della persona fisica alla Federazione che ne testimonia il riconoscimento della attività.

 

Se il perimetro della chiarezza si è definito, rimane la consapevolezza di alcuni punti ancora possibile fonte di contenzioso.

 

         Il primo è il riferimento, espressamente indicato nella circolare, degli addetti al salvamento. Se, in presenza di attività agonistiche o di corsi propedeutici in vasca, appare compatibile e coerente la ricomprensione anche di queste figure nell’ambito di quelle “sportive”, meno condivisibile apparirebbe la ricomprensione in tale ambito per le attività svolte dagli addetti al salvamento negli spazi c.d. di “nuoto libero” o per tutte quelle attività non strettamente sportive che possono essere poste in essere in vasca (vedi attività per neonati o similari).

 

         Si pone, poi, il problema di quelle discipline riconosciute solo dagli enti di promozione sportiva e non da una Federazione o da una disciplina sportiva associata aderente Coni (vedi, ad esempio, pilates, yoga, ecc).  Infatti, mentre non appare dubbio alcuno che il compenso sportivo possa essere erogato per la pratica svolta nell’ambito degli enti di promozione di discipline riconosciute come tali da Federazioni, dubbia rimane per quelle attività, tipo quelle in precedenza citate, che sono svolte dagli enti ma che non hanno, come tipologia di esercizio, un analogo riconoscimento all’interno di una Federazione o Disciplina sportiva associata.

 

         Non possiamo fare a meno di ricordare come lo statuto del Coni, mentre per le Federazioni e Discipline sportive associate parla di “attività sportiva” (art. 20 e 24 dello statuto Coni), per gli enti di promozione sportiva definisce le attività come: “fisico – sportive con finalità ricreative e formative” (art. 26 primo comma statuto Coni).

 

         In un’ottica di limitare il recinto della applicabilità della disciplina agevolativa questa potrebbe essere una possibile spiegazione al preciso contenuto della circolare laddove viene previsto che: “sulla base di questi chiarimenti normativi e di prassi è possibile avere un quadro di riferimento per definire le prestazioni che rientrano nell’art. 67 del Tuir ma è necessario, in sede di accesso, verificare, sulla base delle indicazioni fornite dalle singole Federazioni che attuano il riconoscimento della ASD/SSD quali sono le attività necessarie per garantire l’avviamento e la promozione dello sport e le qualifiche dei soggetti che devono attuare tali attività”.

 

Questa presa di posizione sicuramente appare un importante contributo di chiarezza ad una disciplina che suscitava molte incertezze e che aveva portato a numerosi contenziosi tuttora in corso. Appare altrettanto vero che, come tale, non può che essere ritenuta insufficiente, anche perché costruita solo sotto il profilo amministrativo e pertanto, si auspica che sia solo un punto di partenza per un totale riesame legislativo della fattispecie del lavoro sportivo dilettantistico


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