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Le prestazioni di servizi tra enti sportivi – I° parte

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La circolare AdE 18/E/2018, nel rispondere ai quesiti emersi nel tavolo tecnico attivato con il Coni, entra nel merito di due fattispecie concrete per le quali riconosce la possibilità di applicare, nei rapporti economici tra due sodalizi sportivi, la decommercializzazione del provento ai fini reddituali ai sensi di quanto previsto dall’articolo 148, comma 3, Tuir.

In particolare, il documento di prassi amministrativa tratta il tema della cessione dei diritti sulle prestazioni degli atleti e del diritto sportivo a partecipare ad un determinato campionato.

Esiste, però, nella pratica, un ulteriore caso, piuttosto diffuso, non oggetto di esame nel documento di prassi amministrativa in esame, di prestazioni di servizio tra enti sportivi: l’affitto di spazi attrezzati che una associazione o società sportiva che gestisce un impianto concede ad altro sodalizio.

Analizziamo la disciplina delle tre fattispecie alla luce delle indicazioni fornite dalla Agenzia delle entrate

Affinché si possa utilizzare la norma agevolativa in esame, in tutti i casi oggetto di indagine, occorre che sussistano una serie di presupposti comuni:

  1. deve trattarsi di enti, cedente e cessionario, tutti affiliati alla medesima federazione sportiva nazionaledisciplina sportiva associata o ente di promozione sportiva e regolarmente iscritti al registro Coni,
  2. deve essere stato inviato da entrambe le parti il modello EAS,
  3. la cessione deve rientrare tra le finalità istituzionali delle parti in esame.

Dato per scontata la possibilità di determinare i primi due requisiti con criteri oggettivi, resta da valutare la sussistenza dell’ultimo.

Per la cessione degli atleti, l’Amministrazione finanziaria, ritiene: “la cessione verso corrispettivo del diritto alla prestazione sportiva dell’atleta può considerarsi rientrante nell’ambito delle attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali ai sensi dell’articolo 148, comma 3, Tuir sempreché l’atleta abbia svolto nell’ambito della associazione o società sportiva dilettantistica non lucrativa cedente un’effettiva attività volta ad apprendere e migliorare la pratica sportiva dilettantistica”.

Ma, ricordando il concetto di “attività svolte”, appare indirettamente confermata la natura di “cessione del bene immateriale” quale inquadramento civilistico del trasferimento dell’atleta.

Pertanto la transazione rientra tra le operazioni c.d. “commerciali”, salva la possibilità di applicare la decommercializzazione di cui all’articolo 148 Tuir.

Ad ogni buon conto, la lettura proposta – per quanto “soddisfacente” sul piano della sistematica giuridica – pare in grado di adattarsi esclusivamente ai “casi” di trasferimento di atleti vincolati.

Discorso diverso andrebbe fatto in caso di tesseramento di atleta c.d. “svincolato” per il quale la Federazione di appartenenza richiede il pagamento di una determinata indennità.

In tal caso non sussistendo la “cessione” verrebbe meno il presupposto di cessione di beni o servizi e, pertanto, di conseguenza, l’assoggettamento ad imposta.

Prima di addentrarci ulteriormente sul tema si impone una chiosa. La fattispecie in esame è completamente differente ed estranea rispetto a quella del c.d. “premio di addestramento e formazione tecnica” previsto e disciplinato dall’articolo 6 L. 91/1981 sul professionismo sportivo. Tale premio, infatti, gode di un regime di defiscalizzazione proprio ma è applicabile esclusivamente alla indennità percepite da sodalizio dilettantistico nel caso in cui un proprio tesserato sottoscriva un contratto con società professionistica. Pertanto, ad oggi, applicabile solo nelle Federazioni che prevedano un settore professionistico. In più la norma, essendo indubbiamente di carattere eccezionale, non appare suscettibile di interpretazione analogica ai sensi di quanto previsto dall’articolo 14 preleggi al codice civile.

L’Amministrazione finanziaria ritiene, quindi, applicabile, ai fini Ires, la decommercializzazione di cui all’articolo 148, comma 3, Tuir in tutti quei casi in cui la cessione non abbia “finalità meramente speculative”.

 

 

Si apre, poi, un problema di onere della prova in sede di accertamento. Come poter provare in giudizio che sia la cedente che la cessionaria possedevano, all’epoca della transazione, i requisiti indicati? Sarà necessario acquisire e scambiarsi reciprocamente la documentazione necessaria a tal fine? Un ulteriore chiarimento sul punto appare auspicabile.

Dando per scontata, invece, la presenza del requisito della affiliazione alla medesima Federazione (altrimenti non potrebbe avvenire il “trasferimento” dell’atleta) deve essere precisato che, ad avviso della Agenzia, oltre ai requisiti già ricordati, per poter applicare l’articolo 148, comma 3, Tuir è necessario anche che l’atleta “abbia svolto nell’ambito dell’associazione o società sportiva dilettantistica non lucrativa cedente un’effettiva attività volta ad apprendere e migliorare la pratica sportiva dilettantistica”.

Viene, infatti, poi precisato che l’agevolazione non può trovare applicazione in quei casi in cui: “il diritto alla prestazione sportiva sia stato precedentemente acquistato e successivamente rivenduto senza che l’atleta sia stato sostanzialmente coinvolto dall’ente nell’attività formativa e di crescita nell’ambito della pratica sportiva dilettantistica”.

Criterio non oggettivo che potrebbe limitare sostanzialmente la possibilità di avvalersi della disciplina in esame.

Il rischio è quello di avere certezza nel godimento della agevolazione soltanto in quei casi in cui l’atleta ceduto sia stato per la prima volta tesserato dalla società cedente.

In caso contrario “la cessione assume rilevanza reddituale ai fini Ires nella misura in cui integri la realizzazione di una plusvalenza ai sensi dell’articolo 86 Tuir”. Plusvalenza che, ricordiamo, per le associazioni e società sportive dilettantistiche che applicano la L. 398/1991 non rientra tra quelle per le quali può trovare applicazione il coefficiente di reddittività del 3%.


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