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L’inquadramento degli esodati dallo sport

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Con le delibere del Consiglio Nazionale del Coni, la n. 1566 del 20 dicembre 2016, avente ad oggetto il “Registro Nazionale delle Associazioni e Società Sportive Dilettantistiche-Elenco discipline sportive ammissibili”, e la successiva delibera integrativa e correttiva della precedente, la n. 1568 del 14 febbraio 2017, il Coni ha individuato 384 discipline sportive che, ad oggi, possono validamente ritenersi “attività sportive dilettantistiche riconosciute”.

Se, sotto un certo aspetto, come abbiamo già avuto modo di esprimere (“Considerazioni sul registro Coni e sugli statuti delle SSD” e “Discipline legittimanti l’iscrizione nel Registro Nazionale delle ASD”), il tenore di queste delibere ha messo un po’ d’ordine su quali siano i confini delle attività sportive riconosciute, le conseguenze legate al corretto inquadramento degli operatori sotto il profilo lavoristico incrementa i margini di incertezza, quasi come un puzzle, al quale, come è stato dichiarato in un recente convegno, manca sempre qualche tessera per poter essere completato.

Ci riferiamo, in particolare, alle prestazioni attinenti discipline non più ricomprese nell’elenco Coni.

In questo caso non potremmo più far rientrare l’attività svolta nell’ambito della “normativa speciale” volta a “favorire e ad agevolare la pratica dello sport dilettantistico” (vedi ispettorato nazionale del lavoro circolare 1/16 del 01.12.2016). Ciò per l’assenza dei due presupposti indicati dalla citata circolare per l’applicazione della disciplina dei c.d. compensi sportivi (ex articolo 67, comma 1, lett. m), Tuir:

  1. che l’associazione/società sportiva dilettantistica sia regolarmente riconosciuta dal Coni attraverso l’iscrizione nel registro delle società sportive;
  2. che il soggetto percettore svolga mansioni rientranti, sulla base dei regolamenti e delle indicazioni fornite dalle singole federazioni, tra quelle necessarie per lo svolgimento delle attività sportivo – dilettantistiche così come regolamentate dalle singole Federazioni”.

Qui ci potremmo trovare di fronte a due situazioni diverse. La prima è quella in cui il sodalizio svolge esclusivamente attività non più riconosciuta come sportiva.

In tal caso, a far data dalla conclusione del corrente esercizio sociale, alle prestazioni svolte trova applicazione il primo comma dell’articolo 2 del D.Lgs. 81/2015 che, rubricando “collaborazioni organizzate dal committente” testualmente riporta che: “si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e ai luoghi di lavoro”.

L’altra ipotesi, probabilmente più diffusa, è invece quella del sodalizio che mantiene la sua natura sportiva dilettantistica in virtù della pratica di discipline riconosciute, ma che indice e organizza anche attività non ricomprese nell’elenco della delibera Coni dello scorso 14 febbraio.

In tal caso, anche per loro, scatta la presunzione dell’applicazione delle norme sul rapporto di lavoro subordinato in presenza di attività etero coordinata sopra descritta?

Si ricorda che il secondo comma del citato articolo 2 del D.Lgs. 81/2015 alla lettera desclude l’applicabilità di detta presunzione: “alle collaborazioni rese ai fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle Federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal Coni come individuati e disciplinati dall’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002 n. 289”.

Ritenuto che tale norma debba essere correttamente letta come riferita alle collaborazioni “rese ai fini istituzionali” in favore di società e associazioni sportive di cui all’articolo 90 L. 289/2002, non vi è dubbio che una società ad esempio di ginnastica artistica (e come tale e con dette finalità qualificata correttamente come sportiva dilettantistica) che abbia tra i propri fini istituzionali “anche” la pratica dello yoga (disciplina ad oggi non rientrante tra quelle riconosciute) possa, a questo punto, legittimamente inquadrare il proprio istruttore di tale disciplina come collaboratore coordinato e continuativo, ovviamente sussistendone i presupposti, senza cadere nella presunzione della applicabilità della disciplina del rapporto di lavoro subordinato.

Il problema che ne deriva, però, è che questa conclusione potrebbe essere una vittoria di Pirro. Infatti trattandosi comunque di istruttori di società e associazioni sportive dilettantistiche ci si troverà di fronte, comunque, all’obbligo di pagare i contributi alla gestione spettacolo ex ENPALS che, come è noto, sono dello stesso ammontare di quelli previsti per il rapporto di lavoro subordinato.

Ci troveremo, pertanto, nella singolare situazione che l’istruttore del corso di yoga indetto da una associazione culturale (in quanto ha perso in virtù della delibera Coni i connotati di sportiva) rischia l’applicazione delle norme sul rapporto di lavoro subordinato ma pagherà i contributi alla gestione ordinaria; lo stesso istruttore per la medesima attività, anche se inquadrato come collaboratore coordinato e continuativo, svolta in favore di una sportiva, li dovrà pagare alla gestione spettacolo.

È meglio risparmiarsi ogni commento.

 

 


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