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L’inquadramento dei collaboratori sportivi dopo il coronavirus

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La possibile, imminente, “fase due” dell’emergenza pandemica avvicina il momento della ripresa delle attività sportive.

 

Quali novità si presentano per l’inquadramento delle risorse umane impiegate all’interno degli impianti?

 

Il punto di partenza credo sia l’articolo 3 del decreto attuativo dell’articolo 96 D.L. 18/2020, c.d. Cura Italia.

 

Questa norma definisce i beneficiari del provvedimento sopra indicato quali “i lavoratori titolari di un rapporto di collaborazione ai sensi dell’articolo 67 primo comma lettera m) del d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917”.

 

Da tale indicazione conseguono numerose conseguenze.

 

La prima è che, per la prima volta a livello legislativo dopo l’abrogazione della definizione di dette collaborazioni quali coordinate e continuative (previste dalla Legge di bilancio 2018 e abrogate con il c.d. Decreto dignità – D.L. 87/2018), si ha conferma che le c.d. prestazioni sportive dilettantistiche hanno natura lavoristica.

 

Pertanto risulta acclarato che detta forma di retribuzione potrà essere riconosciuta anche a soggetti che svolgono tale attività a titolo principale, ancorché non esclusivo.

 

La seconda è che, all’interno di tale categoria, noi ritroviamo tutti i percettori di compensi sportivi, quindi anche gli atleti dilettanti e gli ufficiali di gara e gli arbitri.

 

La natura di lavoratore di tali ultime categorie di soggetti che garantiscono il corretto svolgimento delle manifestazioni sportive dilettantistiche è confermata anche dall’articolo 5, comma 1, lettera c), L. 86/2019 che espressamente comprende tra i lavoratori anche la figura “del direttore di gara”.

 

Appaiono, pertanto, al momento superate tutte le precedenti posizioni dottrinali e giurisprudenziali che intravedevano in tali figura più una prestazione a finalità associative che a natura corrispettiva.

 

È altrettanto chiaro che l’emersione di tali lavoratori e, in particolare, la loro rilevata quantificazione in termini numerici, legata alla richiesta della indennità dei 600 euro non può essere nascosta, anche perché si incrocia con il periodo di vigenza della delega concessa al Governo (scadrà a fine agosto prossimo) per la riscrittura della disciplina del lavoro sportivo dilettantistico.

 

È ormai palese che la distinzione tra sportivi “lavoratori” e in quanto tali professionisti, disciplinati dalla L. 91/1981 e soggetti dilettanti, intesi come coloro che svolgono tali attività per diletto, appare superata non solo dalla prassi ma anche dalle norme che si sono succedute.

 

Essendo confermato, dalle parole più volte ripetute del Ministro Spadafora che la scadenza di agosto per i decreti delegati di riforma dello sport sarà rispettata, ci troveremo di fronte alla ripresa delle attività e nuove regole che disciplineranno l’esercizio di attività sportive dilettantistiche.

 

Il problema sarà il costo per la copertura previdenziale e assicurativa di queste prestazioni. Infatti, solo qui è presente la vera differenza rispetto ad altre forme di lavoro autonomo previste dall’ordinamento.

 

Secondo una tabella predisposta dal portale “Fisco sport”, su un compenso di 25.000 euro lordi già oggi l’inquadramento come sportivo dilettante prevede un carico fiscale pari a euro 3.450; se ipotizzassimo, invece, una partita iva a forfait al 5%, le imposte sono pari a euro 860 e il forfait al 15% prevede imposte pari a euro 2.580.

 

È palese, quindi, che la differenza in termini di costi tra i trattamenti non sportivi e quelli sportivi è data esclusivamente dal carico previdenziale, presente nei primi e non nei secondi visto che, addirittura, lo sportivo, ai fini fiscali, ha un carico maggiore.

 

Nel momento in cui anche sulle prestazioni sportive, conformemente, del resto, alla loro qualificazione come prestazioni di lavoro e in ossequio al dettato costituzionale, sarà inserita una copertura previdenziale e assicurativa la “convenienza” ad utilizzare tale soluzione si ridurrebbe notevolmente.

 

D’altro canto diventa difficile prevedere che non si vada in questa direzione.

 

Ma se questo fosse vero, come crediamo, la conseguenza è che i centri sportivi appena usciti (o forse non ancora) dall’incubo della chiusura degli impianti per la pandemia (con la correlata crisi finanziaria derivata dai mancati incassi) si troveranno, con ogni probabilità, a dover sopportare costi ulteriori non previsti e comunque impossibili da sostenere nel quadro della post emergenza.

 

Ecco allora che sarebbe auspicabile che il riconoscimento come rapporto di lavoro pieno (con correlato versamento di contributi previdenziali e assicurativi) per i lavoratori dello sport dilettantistico fosse accompagnato da un periodo iniziale di defiscalizzazione di detti oneri, al fine di facilitare la ripresa o comunque legato ad un inquadramento che possa prevedere un diverso e più ridotto peso dei contributi rispetto a quelli oggi previsti per il settore spettacolo (si veda, a tal proposito, il settore dell’agricoltura o quello dei lavori domestici).

 


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