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Lo sport e la riforma del terzo settore – I° parte

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La riforma del terzo settore, introdotta nel nostro ordinamento con la L. 106/2016, si è concretizzata con l’approvazione di quattro decreti legislativi:

 

1) D.Lgs. 40/2017 “Istituzione e disciplina del servizio civile universale a norma dell’articolo 8 della legge 6 giugno 2016 n. 106”;

 

2) D.Lgs. 111/2017 “Disciplina dell’istituto del cinque per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche a norma dell’articolo 9 comma 1 lettera c) e d) della legge 6 giugno 2016 n. 106”;

 

3) D.Lgs. 112/2017 “Revisione della disciplina in materia di impresa sociale a norma dell’articolo 2 comma 2 lettera c) della legge 6 giugno 2016 n. 106”;

 

4) D.Lgs. 117/2017 “Codice del terzo settore a norma dell’articolo 1 comma 2 lettera b) della legge 6 giugno 2016, n. 106”.

 

Il primo istituisce il servizio civile universale a cui possono accedere i giovani tra i 18 e i 28 anni per un periodo compreso tra gli otto e i dodici mesi. Tra i settori di intervento oggetto delle attività del nuovo istituto, l’articolo 3, lett. e), prevede: “educazione e promozione culturale dello sport”. Pertanto, le sportive rientrano a pieno titolo tra quelle ricomprese nelle attività del servizio civile universale.

 

L’articolo 3 del decreto sul cinque per mille prevede, al suo comma 1, lett. e), sulla falsariga di quanto applicato fino ad oggi, che tra i soggetti potenzialmente destinatari di questa contribuzione ci siano anche le: “associazioni sportive dilettantistiche riconosciute ai fini sportivi dal Comitato olimpico nazionale italiano a norma di legge che svolgono una rilevante attività di interesse sociale”. Confermato, quindi, che le società di capitale e le cooperative sportive dilettantistiche, invece, non potranno godere di questi contributi.

 

Già la lettura di questo decreto, però, nel momento in cui elenca le associazioni sportive dilettantistiche tra i soggetti destinatari del cinque per mille, distinguendoli dai nuovi “enti del terzo settore” previsti alla lettera “a” del citato articolo 3, ci consente di capire meglio i contenuti, nei rimanenti due decreti legati allo svolgimento di attività sportive.

 

Si chiarisce in premessa che le imprese sociali, ai sensi di quanto previsto dal primo comma dell’articolo 3 del codice del terzo settore (da ora in avanti CTS), sono a tutti gli effetti “enti del terzo settore” pur se disciplinati da un autonomo decreto.

 

Il CTS disciplina gli enti “associativi”, mentre quello sulle imprese sociali gli enti senza scopo di lucro che siano costituiti anche “nelle forme previste dal libro quinto del codice civile”. Pertanto, concettualmente, le associazioni sportive dilettantistiche “potrebbero” essere enti del terzo settore mentre le società sportive di capitali o le cooperative necessariamente potrebbero essere solo imprese sociali.

 

Gli enti del terzo settore tipizzati sono i seguenti:

 

a) le organizzazioni di volontariato;

b) le associazioni di promozione sociale;

c) le imprese sociali;

d) le società di mutuo soccorso.

Vengono poi aggiunti, non previsti nella legge delega, o solo richiamati incidentalmente:

e) gli enti filantropici;

f) le reti associative.

 

Infine sono previsti, come norma di chiusura: “Le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale”.

 

Detti enti devono necessariamente svolgere una attività di “interesse generale” espressamente elencata. Tra le 26 contenute nell’articolo 5 del CTS ritroviamo: “t) organizzazione e gestione di attività sportive dilettantistiche”.

 

Da quanto sopra riportato si ricava una prima conclusione. Il CTS non tipizza le associazioni sportive, contrariamente a quanto previsto, invece, ad esempio per le associazioni di promozione sociale, le colloca, astrattamente, nell’ultima categoria di enti del terzo settore “generalista” sopra riportata, prevedendo espressamente, però, la possibilità di svolgere la loro attività istituzionale.

 

Questo porta ad una prima importante conclusione: una associazione sportiva può ma non deve diventare un ente del terzo settore. Ma bisogna fare attenzione a un punto. Molte associazioni sportive dilettantistiche sono “anche” associazioni di promozione sociale. La associazione di promozione sociale che sia iscritta al registro CONI e svolge attività sportiva come ASD, invece, è di diritto ente del terzo settore.

 

Discorso similare andremo a fare per le società sportive dilettantistiche.

 

Infatti l’articolo 1 del D.Lgs. 112/2017 sull’impresa sociale prevede che: “Possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutte le organizzazioni private, incluse quelle costituite nelle forme di cui al libro V del codice civile che, in conformità alle disposizioni del presente decreto, esercitano in via stabile e principale un’attività d’impresa di interesse generale, senza scopo di lucro”.

 

Anche qui il legislatore enuncia all’articolo 2 una serie di attività di interesse generale tra le quali colloca: “r) Organizzazione e gestione di attività sportive dilettantistiche”.

 

Stante l’utilizzo del termine “possono” da parte della norma istitutiva ne deriva che le società di capitali e le cooperative sportive dilettantistiche possono ma non devono diventare imprese sociali.

 

 


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