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L’opinione

Il nuovo decreto sul cinque per mille

21/09/2020 di Guido Martinelli

Con un “po’ di ritardo” (doveva essere emanato, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 4 D.Lgs. 111/2017 entro 120 giorni dall’agosto 2017) è stato pubblicato, nella Gazzetta Ufficiale n. 231 del 17.09.2020, il D.P.C.M. 23.07.2020 con il quale sono state disciplinate le modalità e i termini per l’accesso al riparto del cinque per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche degli enti destinatari del contributo, nonché le modalità e i termini per la formazione, l’aggiornamento e la pubblicazione dell’elenco permanente degli enti iscritti al riparto e per la pubblicazione degli elenchi annuali degli enti ammessi.

 

L’articolo 1 prevede, al comma 1, lett. a), che possa essere destinato, in base alla scelta del contribuente, al sostegno degli enti del terzo settore iscritti nel Registro Unico Nazionale del Terzo Settore.

 

In attesa della istituzione di detto registro, opportunamente, il comma 2 prevede, però, che detta disposizione abbia effetto “a decorrere dall’anno successivo a quello di operatività del registro unico nazionale del terzo settore”.

 

Resta comunque confermato che, fino a tale data, la possibilità di partecipare al riparto sarà riservata solo a organizzazioni di volontariato, onlus e associazioni di promozione sociale regolarmente iscritte negli attuali registri tenuti dalle Regioni e dalla Agenzia delle Entrate.

 

Il successivo articolo 3 prevede che gli enti del terzo settore debbano dichiarare, in sede di iscrizione al Runts, di volersi accreditare anche ai fini dell’accesso al contributo del cinque per mille.

 

Dopo aver elencato le altre realtà aventi titolo per accedere (enti di ricerca scientifica e sanitariaattività sociali del Comune di appartenenza), il comma 1 dell’articolo 1, alla lettera e), prevede che il riparto del contributo possa essere destinato, in base alla scelta del contribuente alle seguenti finalità: “sostegno delle associazioni sportive dilettantistiche riconosciute ai fini sportivi dal Coni che siano affiliate agli enti di promozione sportiva” nella cui organizzazione è presente il settore giovanile che svolgono prevalentemente attività di avviamento e formazione allo sport dei giovani di età inferiore a 18 anni, o di avviamento alla pratica sportiva a favore di persone di età non inferiore a 60 anni, o nei confronti di soggetti svantaggiati in ragione delle condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari.

 

La circostanza che la norma indicata faccia riferimento solo alle Asd affiliate agli Eps appare probabilmente un errore, in quanto il successivo articolo 6, che disciplina le modalità di accreditamento per l’accesso al contributo, prevede espressamente anche l’affiliazione a Fsn e Dsa. Ci si augura che il punto sia presto chiarito.

 

Da evidenziarsi che il successivo articolo 2 prevede che, ai fini dell’accreditamento, le sportive dovranno rivolgersi, come amministrazione competente, al Coni, pur se le bozze di testo unico sullo sport che sono circolate non prevedono più il Registro delle associazioni e società sportive dilettantistiche in capo a detto ente.

 

Sia gli enti del terzo settore che le sportive dovranno presentare domanda entro il 10 aprile in via telematica.

 

Entro il successivo giorno 20, dai rispettivi enti accreditanti saranno pubblicati gli elenchi dei soggetti che hanno presentato domanda.

 

Entro il 30 aprile sarà possibile ricorrere contro eventuali esclusioni, e il successivo 10 maggio è il termine previsto per la pubblicazione degli elenchi definitivi.

 

L’inserimento in elenco, fermo restando i requisiti per l’accesso ai benefici, esplica effetti anche per gli esercizi finanziari successivi a quello di iscrizione.

 

I beneficiari dovranno redigere, entro un anno dalla ricezione delle somme, un apposito rendiconto che indichi “in modo chiaro e trasparente” la destinazione e l’utilizzo delle somme percepite da inviare all’amministrazione accreditante per il controllo.

 

In caso di ricevimento di contributi inferiori ai 20.000 euro non saranno tenuti all’invio del rendiconto e della relazione, che dovranno comunque essere redatti e detenuti dal sodalizio ricevente.

 

Il rendiconto dovrà indicare le spese sostenute per il funzionamento del soggetto beneficiario, ivi incluse le spese per risorse umane e per l’acquisto di beni o servizi, dettagliate per singole voci di spesa, “con l’evidenziazione della loro riconduzione alle finalità e agli scopi istituzionali del soggetto beneficiario” nonché gli eventuali accantonamenti delle somme percepite per la realizzazione di progetti pluriennali con durata massima triennale, fermo restando l’obbligo di rendicontazione successivamente al loro utilizzo.

 

Detto rendiconto dovrà essere pubblicato entro trenta giorni dalla ultima prevista per la compilazione anche sul sito internet della associazione.

 

Il contributo potrà essere recuperato se l’erogazione è avvenuta a seguito di dichiarazioni mendaci o sia stato impiegato per finalità diverse da quelle perseguite istituzionalmente dal soggetto beneficiario.

 

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La prima bozza del decreto legislativo contenente il testo unico sullo sport

19/07/2020 di Guido Martinelli

Il Ministro Spadafora ha distribuito la prima bozza del c.d. “testo unico sullo sport”, ossia il decreto delegato di cui alla L. 86/2019La scelta, del tutto condivisibile, è stata quella di riunire in un unico testo tutte le deleghe indicate nel testo legislativo.

 

Il lavoro costituisce una revisione di tutta la governance e la disciplina dello sport italiano, fino ad oggi determinata sostanzialmente da tre provvedimenti: dal D.Lgs. 242/1999 (meglio noto come decreto Melandri – per la parte istituzionale sullo sport), dalla L. 91/1981 sul professionismo sportivo e dall’articolo 90 L. 289/2002 per la parte sul dilettantismo.

 

Appare ovvio come, in una prospettiva così ambiziosa, questa prima bozza contenga alcune luci e molte ombre ma sono convinto che i contributi delle forze politiche potranno riordinare in maniera ottimale la materia.

 

Intanto viene finalmente definito cosa debba intendersi per “sport”.

 

Si parla di qualsiasi forma di attività fisica. Qui si presenterà il problema se i giochi in cui prevale la componente mentale, pensiamo ad esempio a certi giochi di carte (vedi burraco) o agli ormai emergenti e-sports potranno, alla luce di questa definizione, rientrare nella categoria delle attività sportive.

 

Si dovrà iniziare a convivere con la maggiore novità a livello istituzionale. Mentre, fino ad oggi, il referente a cui lo Stato aveva affidato ogni competenza in materia di sport era il Coni, ora le competenze sono distribuite (in maniera più o meno organica) tra tre soggetti: il Coni, la società Sport e Salute e l’ufficio sport (futuro dipartimento) della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

 

Da evidenziare, rispetto alla situazione odierna, che, essendo rimasto al Coni solo la competenza in materia di “preparazione degli atleti”, i rappresentanti degli enti di promozione sportiva escono dal Consiglio Nazionale e dalla Giunta Nazionale del Coni e sono “sostituiti” dai rappresentanti dei gruppi militari e di Stato.

 

Al Coni viene riassegnata una pianta organica di personale al fine di meglio evidenziare l’autonomia tra detto ente e la Sport e Salute spa.

 

Sul territorio il Coni manterrà la sua presenza istituzionale con il Presidente regionale mentre la struttura operativa prima alle sue “dipendenze” diventerà un comitato territoriale per la promozione dello sport, presieduto da un rappresentante della Regione e composto da membri indicati dall’amministrazione scolastica, dal Coni, dal Cip, da Sport e Salute e dagli enti di promozione sportiva.

 

Viene accentuato il carattere privatistico delle Federazioni e delle discipline sportive associate e i loro bilanci non saranno più approvati dalla Giunta nazionale del Coni ma direttamente dai Consigli Federali. Solo in caso di parere contrario del collegio dei revisori si procederà alla convocazione della assemblea generale della Federazione o della disciplina associata per l’approvazione del bilancio.

 

Il riconoscimento degli enti di promozione sportiva è affidato all’ufficio sport della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

 

Importanti novità in materia di società sportive dilettantistiche. Viene infatti previsto, in analogia con quanto indicato dal D.Lgs. 112/2017 per l’impresa sociale, che possono diventare tali tutte le società di cui al libro V del codice civile. Qui si pone il problema di come possano, le società di persone, fattispecie collocate all’interno del citato libro codicistico, garantire l’assenza del fine di lucro come richiesto, stante il fatto che non viene prevista in questo caso la separazione del patrimonio della società da quello dei singoli soci.

 

Ma la novità sicuramente di maggiore rilievo appare essere il recepimento, del tutto auspicato, del principio già presente per le imprese sociali, che vede la possibilità, nelle società sportive dilettantistiche, di destinare: “una quota inferiore al cinquanta per cento degli utili o degli avanzi di gestione annuali … alla distribuzione … di dividendi ai soci in misura comunque non superiore all’interesse massimo dei buoni postali fruttiferi aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato”. Una riedizione, in modo più confacente alla realtà dello sport, di quella che era stata la società sportiva dilettantistica lucrativa, poi abrogata.

 

Contrariamente (e per fortuna) a quanto accade oggi viene previsto che la finalità sportiva debba essere prevalente e l’eventuale esercizio di attività diverse deve essere solo secondario e strumentale.

 

Altra novità da sottolineare è la previsione della ammissibilità del rimborso al socio “del capitale effettivamente versato ed eventualmente rivalutato”, oggi ritenuta genericamente non ammessa.

 

Viene meglio chiarita la clausola di incompatibilità per gli amministratori di ricoprire “qualsiasi carica” (quindi anche quelle di carattere non amministrativo) in altre società o associazioni sportive dilettantistiche che operano nell’ambito della medesima federazione o disciplina sportiva associata.

 

Vengono poi confermate, al momento in maniera molto “disordinata”, alcune agevolazioni tributarie già in essere.

 

Si parte dalla conferma della non applicabilità della ritenuta di cui all’articolo 28 D.P.R. 600/1973 ai contributi del Coni, delle FSN e degli Eps, l’imposta di registro in misura fissa agli atti costitutivi e di trasformazione delle società e associazioni sportive dilettantistiche, la conferma della presunzione di spesa pubblicitaria delle sponsorizzazioni fino a 200.000 euro, l’applicabilità dell’articolo 4 comma quarto del decreto Iva. Tale ultima indicazione, se confermata nel testo finale potrebbe far cessare le preoccupazioni sull’applicabilità di tale disposizione alle società sportive dilettantistiche.

 

Richiederà, forse, ancora qualche meditazione il titolo relativo ai rapporti di lavoro nello sport.

 

La prima novità è l’eliminazione di ogni distinzione tra dilettanti e professionisti, così essendo previsto: “È lavoratore sportivo l’atleta, l’allenatore, il direttore tecnico, il direttore sportivo, il preparatore atletico e il direttore di gara che, senza alcuna distinzione di genere e indipendentemente dal settore professionistico o dilettantistico, esercita l’attività sportiva verso un corrispettivo, al di fuori delle prestazioni amatoriali…”.

 

Da evidenziare, in questa classificazione, la presenza della figura del direttore di gara, la cui prestazione, fino ad oggi, per giurisprudenza costante, era stata ritenuta a prevalente finalità associativa e non di carattere lavorativo.

 

Sulla base di tale premessa le prestazioni potranno essere classificate come subordinate o autonome, in quest’ultimo caso anche nella forma della collaborazione coordinata e continuativa. Si prevede espressamente l’applicazione, in tale ultimo caso, della disciplina del lavoro subordinato nel caso in cui la prestazione sia resa con modalità di esecuzione organizzate dal committente ai sensi dell’articolo 2, comma 1, D.Lgs. 81/2015, in quanto si stabilisce l’abrogazione della esclusione di tale disciplina prevista per le sportive dilettantistiche dalla lettera d) del secondo comma del medesimo articolo.

 

Al fine di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei contratti di lavoro sportivo viene prevista la possibilità della loro certificazione sulla base di parametri stabiliti dagli accordi collettivi o, in assenza, determinati dal “Ministero dello Sport”, di concerto con il Ministero del Lavoro.

 

Viene espressamente prevista la possibilità, in presenza di prestazioni occasionali, della applicazione dei contratti “Presto”.

 

Il richiamo conclusivo all’applicabilità, seppur non previsto dal testo in esame, in quanto compatibili, delle rimanenti “norme di legge sui rapporti di lavoro nell’impresa, incluse quelle di carattere previdenziale e tributario” porta a ritenere che sia esclusa la natura atipica della prestazione lavorativa nello sport, non classificabile come tale tra le figure di lavoro autonomo o subordinato, che era stata, invece, la motivazione per la quale la prassi amministrativa e la giurisprudenza avevano fino ad oggi ritenuto applicabile alle prestazioni dilettantistiche la disciplina di cui all’articolo 67, comma 1, lett. m), Tuir.

 

Per i dipendenti pubblici è prevista la possibilità di prestare attività sportiva fuori dall’orario di lavoro solo in favore di società e associazioni sportive dilettantistiche e a fronte di “indennità e rimborsi”. Ne deriva che non potrà essere contrattualizzata per la parte sportiva la prestazione di un lavoratore dipendente da una pubblica amministrazione.

 

La disciplina del rapporto di lavoro subordinato sportivo (che troverebbe applicazione anche nelle prestazioni dilettantistiche) è disegnata sulla falsariga di quella esistente per i professionisti, prevista dalla L. 91/1981.

 

Vengono escluse alcune norme previste per il lavoro subordinato incompatibili con la natura sportiva della prestazione (vedi ad esempio la disciplina dei licenziamenti per giusta causa o giustificato motivo), previsto come regime l’apposizione del termine massimo di cinque anni al rapporto e il rinnovo dello stesso, la cessione del contratto, il possibile inserimento di forme di trattamento di fine rapporto, di competenza arbitrale per le controversie e il divieto di clausole limitative della libertà professionale dello sportivo a fine contratto.

 

Si conferma che nel professionismo sportivo vige, per gli atleti, la presunzione di lavoro subordinato, salvo i casi già oggi previsti dalla L. 91/1981 di attività a ridotta intensità di prestazione.

 

Il contratto di lavoro del direttore di gara dovrà essere, invece, stipulato dalla federazione, disciplina sportiva associata o ente di promozione sportiva di appartenenza.

 

Vengono poi disciplinate le prestazioni sportive amatoriali.

 

Queste debbono essere volontarie e, quindi, essenzialmente gratuite e sono incompatibili con qualsiasi rapporto di lavoro con il sodalizio sportivo. In tal caso potranno essere riconosciuti soltanto: “premi e compensi occasionali in relazione ai risultati ottenuti nelle competizioni sportive nonché indennità di trasferta e rimborsi spese anche forfettari ai quali si applica il regime tributario agevolato”.

 

Ne deriva che le prestazioni a carattere continuativo per le quali sono previsti “compensi” non potranno più rientrare tra quelle per le quali è previsto un regime fiscale agevolato.

 

Viene mantenuto l’obbligo assicurativo esistente nei confronti di questi “amatori” per infortuni e malattie (non si comprende perché viene escluso il caso morte) a cui si aggiunge la responsabilità civile verso terzi.

 

Assolutamente innovativa appare la possibilità di stipulare con i “giovani atleti” (non è chiaro quale sia il limite d’età) “contratti di apprendistato”.

 

Viene allargata anche al settore dilettantistico la disciplina della L. 91/1981 sul premio di addestramento in caso di stipula di primo contratto di lavoro subordinato sportivo.

 

Si impone entro un anno dalla entrata in vigore del decreto l’abolizione del vincolo sportivo.

 

Viene rivista la disciplina sui controlli sanitari di sicurezza degli sportivi.

 

er i lavoratori subordinati sportivi vengono previste coperture assicurative rafforzate da parte dell’Inail

 

Sotto il profilo previdenziale, viene estesa l’Ivs del fondo già esistente per i professionisti sportivi anche ai dilettanti, che assumerà la denominazione di fondo pensione lavoratori sportivi, precisando che sarà comunque calcolato con il sistema contributivo.

 

Per i lavoratori sportivi titolari di contratto di collaborazione coordinata o continuativa o di prestazione occasionale viene costituita una sezione apposita presso il citato fondo pensioni lavoratori sportivi al quale si applicherà la disciplina oggi esistente per le medesime fattispecie iscritte alla gestione separata Inps.

 

Ai fini del calcolo del contributo dovuto l’importo del compenso mensile dei lavoratori sportivi autonomi è determinato convenzionalmente con decreto del Ministro del Lavoro, sentite le Federazioni, e “interamente a carico dei lavoratori sportivi autonomi”.

 

Le società e associazioni sportive dilettantistiche sono responsabili del versamento di tutti i contributi, anche per la parte a carico dei lavoratori, salvo rivalsa.

 

Nei settori dilettantistici l’aliquota contributiva per i lavoratori sportivi iscritti al fondo pensioni è pari al 10%.

 

I lavoratori non iscritti ad altra gestione previdenziale potranno, su base volontaria, incrementare tale aliquota con onere a loro esclusivo carico ai fini del diritto ai trattamenti pensionistici loro spettanti sino alla concorrenza delle aliquote previste per la gestione separata Inps.

 

La cessione dei contratti sulle prestazioni sportive degli atleti è soggetta ad Iva ma, ai fini dei redditi, gode della agevolazione di cui all’articolo 148 Tuir.

 

Viene confermato che la qualificazione come redditi diversi ex articolo 67 (esonerati da obbligazioni previdenziali e assicurative) diventa applicabile solo alle prestazioni occasionali “amatoriali” e solo nel limite della fascia esente oggi di 10.000 euro.

 

La medesima fascia di esenzione fiscale si applica anche ai redditi di lavoro sportivo qualsiasi sia la tipologia di rapporto.

 

Nei settori dilettantistici sul reddito imponibile da lavoro sportivo, qualsiasi sia la tipologia di rapporto, sino allo scaglione di euro 65.000 si applica una imposta sostitutiva dell’imposta sui redditi e delle addizionali regionali e comunali pari al 15%.

 

contributi previdenziali versati in ottemperanza a disposizioni di legge non concorrono a formare il reddito di chi li ha versati.

 

Analogo discorso andrà operato per le collaborazioni amministrativo – gestionali. Entro il limite dei 10.000 euro manterranno la loro natura di redditi diversi, in presenza di compensi superiori si applicherà la disciplina dell’obbligo assicurativo.

 

Viene creato un fondo in favore del professionismo negli sport femminili e comunque, anche per le attività dilettantistiche, per i primi tre anni viene previsto l’esonero dal versamento del 100% dei contributi previdenziali e assistenziali entro il limite massimo di 8.000 euro su base annua.

 

Si istituzionalizza la presenza di un insegnante di educazione fisica laureato in scienze motorie nella scuola primaria.

 

Da precisare che, nelle norme finali, viene previsto che la disciplina sul lavoro sportivo decorra dal primo gennaio 2022.

 

Quanto mai opportuno questo rinvio, stante le novità contenute, che dovrebbe meglio essere precisato in relazione ai numerosi sport di squadra la cui stagione è infrannuale.

 

Di estremo interesse appare la scelta di far scattare automaticamente, su richiesta del notaio rogante l’atto costitutivo, la personalità giuridica per le associazioni non riconosciute che chiedano l’iscrizione al registro Coni. Il tutto senza prevedere alcun patrimonio minimo.

 

Nel registro Coni dovranno essere depositati, oltre ai dati già oggi obbligatori, “i contratti di lavoro sportivo e le collaborazioni amatoriali con indicazione dei soggetti, compensi e mansioni svolte…. Il rendiconto economico – finanziario o il bilancio di esercizio approvato dall’assemblea e il relativo verbale”.

 

Vengono escluse le Federazioni dall’elenco Istat degli enti soggetti a controllo pubblico.

 

Viene soppresso per le sportive il modello Eas.

 

La parte sulla sicurezza prevede l’introduzione di una serie di misure di concentrazioneaccelerazione e semplificazione delle procedure di costruzione, ristrutturazione e ripristino degli impianti sportivi nonché norme relative alla pratica degli sport invernali da discesa e da fondo.

 

Il testo unico conclude inserendo, come parte relativa alla giustizia, i contenuti della L. 280/2003 non essendo tale materia oggetto di delega.

 

Le disposizioni finali, sulle quali forse una ulteriore riflessione andrebbe svolta, prevedono l’abrogazione del decreto Melandri (e del decreto correttivo c.d. Pescante) e di una serie di altre norme tra le quali, per quanto di nostro interesse, l’articolo 90 L. 289/2002.

 

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Dal Consiglio nazionale del notariato indicazioni sugli aspetti costitutivi degli Ets

09/07/2020 di Guido Martinelli

Con lo Studio n. 104 – 2020 il Consiglio Nazionale del Notariato fornisce importanti indicazioni in materia di atto costitutivo, statuto, riconoscimento della personalità giuridica e pubblicità degli enti del terzo settore.

 

In via preliminare chiarisce che i rapporti “civilistici” tra il primo libro del codice civile in materia di associazioni e fondazioni e il codice del terzo settore sono retti dal principio dei vasi comunicanti.

 

Infatti la disciplina, immutata, del codice del 1942 continuerà ad applicarsi per gli enti associativi e le fondazioni che non potranno accedere al terzo settore per l’attività svolta o che comunque, pur potendolo, decideranno di non volerlo fare e, per quanto compatibile, per gli ets in riferimento ai profili non disciplinati dal codice civile.

 

Evidenzia che, comunque, gli enti senza scopo di lucro “non Ets” potranno ispirarsi o riprendere la disciplina del codice del terzo settore che è “certamente compatibile con le regole e i principi del codice civile”.

 

Nel merito, poi, sono numerose le chiare e importanti prese di posizione che assume.

 

Ritiene, lo studio in esame, che si possa e si debba fare ricorso alla disciplina codicistica delle società di capitali in presenza di lacune nel codice del terzo settore.

 

Pertanto, ad esempio, viene ritenuto applicabile l’ultimo comma dell’articolo 2375 cod. civ., che espressamente consente la redazione del verbale dopo la chiusura della riunione assembleare, purché la stessa sia effettuata senza ritardo.

 

Viene ribadito che, fino all’attivazione del Registro Unico Nazionale del Terzo settore (Runts), “non sarà possibile utilizzare l’espressione Ets o ente del terzo settore nella denominazione (salva la possibilità di approvare fin d’ora la modifica statutaria relativa condizionandola alla iscrizione)” al registro.

 

La definizione di interesse generale che deve costituire l’oggetto sociale esclude la possibilità che possano rientrare nel novero degli enti del terzo settore quelli la cui attività sia diretta “al soddisfacimento di interessi privati del fondatore o degli associati”.

 

Fornisce, il documento in esame, anche l’indicazione che nello statuto possa essere sufficiente, come sede, indicare solo il Comune, inserendo nello statuto la delega al Consiglio direttivo per la modifica dell’indirizzo della sede nell’ambito del Comune indicato.

 

Pur nel silenzio del Cts in materia, il Consiglio del Notariato ritiene che gli Ets costituiti in forma associativa privi di personalità giuridica debbano costituirsi almeno in “forma scritta” al fine di poter verificare i requisiti formali prescritti per l’ingresso nel terzo settore, lo statuto potrà essere inserito sia in “corpo unico” con l’atto costitutivo o costituire allegato di quest’ultimo.

 

Importanti chiarimenti vengono forniti anche in riferimento alle modalità previste dal codice del terzo settore per il riconoscimento della personalità giuridica (articolo 22 cts).

 

Se un ente del terzo settore volesse richiedere la personalità giuridica dovrà necessariamente adottare la procedura indicata dal citato articolo 22 e non potrà richiedere l’iscrizione al registro delle persone giuridiche della Prefettura o della regione o provincia autonoma; così come solo quest’ultima procedura sarà invece consentita all’ente che non sia iscritto al Runts.

 

Resta inteso che, comunque, siamo di fronte a due percorsi che conducono alla medesima natura giuridica.

 

Altra importante considerazione che chiarisce un aspetto fino ad oggi oggetto di interpretazioni contrastanti: per gli ets con personalità giuridica acquisita ai sensi dell’articolo 22 Cts, alla cancellazione dal Runts non consegue necessariamente la perdita della personalità giuridica ma semplicemente l’onere, per i tenutari del registro delle associazioni riconosciute, di verificare il possesso dei requisiti per il permanere dell’iscrizione anche fuori dal perimetro del terzo settore.

 

Il patrimonio minimo previsto per il riconoscimento dovrà essere versato in denaro al momento della sottoscrizione dell’atto costitutivo o, se identificato in beni diversi dal denaro, tramite il deposito contestuale di una relazione effettuata da revisore legale che dovrà essere allegata all’atto costitutivo.

 

Lo Studio del notariato esclude la possibilità di costituire un ets con personalità giuridica “mediante conferimento d’opera o di servizi anche se garantiti da polizza assicurativa o fideiussione bancaria”. Nulla vieta, però, che durante la vita dell’ente la permanenza del requisito patrimoniale assuma un valore dinamico da valutarsi in relazione al netto patrimoniale.

 

Si conferma l’applicabilità agli ets dell’ultimo comma dell’articolo 31 cod. civ., laddove si prevede che i creditori dell’ente associativo in liquidazione che non abbiano fatto valere i loro crediti potranno chiedere il pagamento entro un anno dal ricevimento di quanto loro dovuto ai soggetti che percepissero la devoluzione dei beni dell’ets in liquidazione.

 

Lo Studio conclude che nel vigente periodo transitorio in corso sarà possibile costituire nuove Aps o Odv sulla base delle indicazioni del nuovo codice del terzo settore, iscriverle nei vecchi registri regionali del volontariato o della promozione sociale (dai quali poi trasmigreranno nel Runts) e godendo del vigente regime fiscale previsto per tali enti in attesa della operatività del titolo X del Cts.

 

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L’inquadramento dei collaboratori sportivi dopo il coronavirus

21/04/2020 di Guido Martinelli

La possibile, imminente, “fase due” dell’emergenza pandemica avvicina il momento della ripresa delle attività sportive.

 

Quali novità si presentano per l’inquadramento delle risorse umane impiegate all’interno degli impianti?

 

Il punto di partenza credo sia l’articolo 3 del decreto attuativo dell’articolo 96 D.L. 18/2020, c.d. Cura Italia.

 

Questa norma definisce i beneficiari del provvedimento sopra indicato quali “i lavoratori titolari di un rapporto di collaborazione ai sensi dell’articolo 67 primo comma lettera m) del d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917”.

 

Da tale indicazione conseguono numerose conseguenze.

 

La prima è che, per la prima volta a livello legislativo dopo l’abrogazione della definizione di dette collaborazioni quali coordinate e continuative (previste dalla Legge di bilancio 2018 e abrogate con il c.d. Decreto dignità – D.L. 87/2018), si ha conferma che le c.d. prestazioni sportive dilettantistiche hanno natura lavoristica.

 

Pertanto risulta acclarato che detta forma di retribuzione potrà essere riconosciuta anche a soggetti che svolgono tale attività a titolo principale, ancorché non esclusivo.

 

La seconda è che, all’interno di tale categoria, noi ritroviamo tutti i percettori di compensi sportivi, quindi anche gli atleti dilettanti e gli ufficiali di gara e gli arbitri.

 

La natura di lavoratore di tali ultime categorie di soggetti che garantiscono il corretto svolgimento delle manifestazioni sportive dilettantistiche è confermata anche dall’articolo 5, comma 1, lettera c), L. 86/2019 che espressamente comprende tra i lavoratori anche la figura “del direttore di gara”.

 

Appaiono, pertanto, al momento superate tutte le precedenti posizioni dottrinali e giurisprudenziali che intravedevano in tali figura più una prestazione a finalità associative che a natura corrispettiva.

 

È altrettanto chiaro che l’emersione di tali lavoratori e, in particolare, la loro rilevata quantificazione in termini numerici, legata alla richiesta della indennità dei 600 euro non può essere nascosta, anche perché si incrocia con il periodo di vigenza della delega concessa al Governo (scadrà a fine agosto prossimo) per la riscrittura della disciplina del lavoro sportivo dilettantistico.

 

È ormai palese che la distinzione tra sportivi “lavoratori” e in quanto tali professionisti, disciplinati dalla L. 91/1981 e soggetti dilettanti, intesi come coloro che svolgono tali attività per diletto, appare superata non solo dalla prassi ma anche dalle norme che si sono succedute.

 

Essendo confermato, dalle parole più volte ripetute del Ministro Spadafora che la scadenza di agosto per i decreti delegati di riforma dello sport sarà rispettata, ci troveremo di fronte alla ripresa delle attività e nuove regole che disciplineranno l’esercizio di attività sportive dilettantistiche.

 

Il problema sarà il costo per la copertura previdenziale e assicurativa di queste prestazioni. Infatti, solo qui è presente la vera differenza rispetto ad altre forme di lavoro autonomo previste dall’ordinamento.

 

Secondo una tabella predisposta dal portale “Fisco sport”, su un compenso di 25.000 euro lordi già oggi l’inquadramento come sportivo dilettante prevede un carico fiscale pari a euro 3.450; se ipotizzassimo, invece, una partita iva a forfait al 5%, le imposte sono pari a euro 860 e il forfait al 15% prevede imposte pari a euro 2.580.

 

È palese, quindi, che la differenza in termini di costi tra i trattamenti non sportivi e quelli sportivi è data esclusivamente dal carico previdenziale, presente nei primi e non nei secondi visto che, addirittura, lo sportivo, ai fini fiscali, ha un carico maggiore.

 

Nel momento in cui anche sulle prestazioni sportive, conformemente, del resto, alla loro qualificazione come prestazioni di lavoro e in ossequio al dettato costituzionale, sarà inserita una copertura previdenziale e assicurativa la “convenienza” ad utilizzare tale soluzione si ridurrebbe notevolmente.

 

D’altro canto diventa difficile prevedere che non si vada in questa direzione.

 

Ma se questo fosse vero, come crediamo, la conseguenza è che i centri sportivi appena usciti (o forse non ancora) dall’incubo della chiusura degli impianti per la pandemia (con la correlata crisi finanziaria derivata dai mancati incassi) si troveranno, con ogni probabilità, a dover sopportare costi ulteriori non previsti e comunque impossibili da sostenere nel quadro della post emergenza.

 

Ecco allora che sarebbe auspicabile che il riconoscimento come rapporto di lavoro pieno (con correlato versamento di contributi previdenziali e assicurativi) per i lavoratori dello sport dilettantistico fosse accompagnato da un periodo iniziale di defiscalizzazione di detti oneri, al fine di facilitare la ripresa o comunque legato ad un inquadramento che possa prevedere un diverso e più ridotto peso dei contributi rispetto a quelli oggi previsti per il settore spettacolo (si veda, a tal proposito, il settore dell’agricoltura o quello dei lavori domestici).

 

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Il futuro delle collaborazioni sportive

25/03/2020 di Guido Martinelli

In questi giorni sui social si parla molto del contributo previsto per i collaboratori sportivi. Precisiamo subito. Ad ora non c’è nulla di certo, pertanto non scatenatevi a preparare documenti o a fare richieste. Se e quando e come sarà possibile farlo vedrete che saranno adeguatamente comunicati dai siti istituzionali.

 

I 50 milioni di euro stanziati dal decreto Cura Italia a copertura del contributo di 600 euro per i collaboratori delle associazioni e società sportive dilettantistiche, federazioni sportive e enti di promozione sportiva, come ho già evidenziato, appaiono palesemente insufficienti se e ove non venisse rigidamente e meglio delimitata la platea degli aventi diritto (una per tutti: gli atleti sono compresi o no?). In più sarebbe “poco” più utile anche un limitato incremento di tale importo stante anche i costi che ci saranno per istruire e liquidare tutte le posizioni dei richiedenti.

 

Allora mi chiedo: l’incremento di tale importo serve davvero? Ma serve davvero in un quadro in cui la ripresa dell’attività è messa a rischio dalla assoluta assenza di aiuti concreti al mondo dei sodalizi sportivi? In più cosa facciamo li aiutiamo adesso e poi a settembre li facciamo ripiombare nella provvisorietà dei contratti sportivi come oggi disciplinati? E che solo (e finalmente) il decreto Cura Italia ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica?

 

D’altro canto qualsiasi modifica alla disciplina vigente per il lavoro sportivo dilettantistico (volto a introdurre una tutela previdenziale e assicurativa per questi lavoratori) comporterebbe un loro maggior costo per la associazione o società sportiva in un momento di grossa crisi come quello attuale.

 

A mio avviso, pertanto, invece di ipotizzare un incremento di questo fondo, perché non ipotizzare, a partire da settembre 2020, una forma di fiscalizzazione degli oneri sociali in favore dei lavoratori dello sport dilettantistico?

 

La circostanza di poter lavorare e far lavorare gli sportivi e gli operatori dei centri con una tutela previdenziale e assicurativa certa ma senza maggiori oneri per i club credo che faccia molto meglio al movimento, anche in vista di una ripresa delle attività, piuttosto che seicento euro a pioggia adesso che rischiano di essere comunque zero domani.

 

Destinare risorse da finalizzare, previo nuovo inquadramento legislativo della fattispecie, alla fiscalizzazione degli oneri sociali per le nuove “assunzioni” dello sport credo che serva sia agli istruttori che ai club.

 

L’alternativa, altrimenti, è la rinuncia all’attività o il mantenimento dell’attuale inquadramento, oggi da tutti criticato.

 

Avv. Guido Martinelli

 

 

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Terzo settore: la recente prassi amministrativa

20/03/2020 di Guido Martinelli

Il 27 febbraio scorso evidenziavamo i problemi che nascevano dalla circostanza che, a circa un anno dalle prime notizie sull’esistenza della bozza di decreto sulle attività diverse, di cui all’articolo 6 del codice del terzo settore, il medesimo non fosse ancora approdato alla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (si legga il precedente contributo “Le attività diverse, lo sport e il terzo settore”).

 

Purtroppo continueremo ad attenderlo.

 

Il Consiglio di Stato, infatti, con proprio provvedimento n. 248/2020 del 29.01.2020 ha sospeso l’espressione del proprio parere sulla bozza che era stata approvata, sollecitando chiarimenti da parte del Ministero.

 

Prescindendo da alcuni aspetti meramente formali, i rilievi si fondano sul presupposto che, alla data di formulazione del parere, non risultava ancora inviata (e quindi non se ne conosceva il conseguente parere) alla Unione europea la richiesta di autorizzazione al pacchetto di agevolazioni fiscali inserite nel codice del terzo settore.

 

In particolare, l’attenzione che viene formulata è alla circostanza che: “il decreto attuativo dell’articolo 6 del cts … amplia l’ambito oggettivo (e soggettivo) di applicazione dei sistemi forfetari di cui ai citati articoli 80 e 86 e delle altre agevolazioni fiscali senza delimitare sufficientemente il parametro della strumentalità.

 

Pertanto diventava necessario verificare preventivamente “la compatibilità comunitaria delle disposizioni in esame”.

 

La prima nota del Ministero del Lavoro in commento è la n. 2088 del 27.02.2020.

 

In questo documento viene chiarito che, non essendo le disposizioni di cui agli articoli 8 (destinazione del patrimonio e divieto di scopo di lucro) e 16 (recante la disciplina del lavoro negli enti del terzo settore) collegate alla entrata in vigore del Registro Unico nazionale del terzo settore, queste debbono intendersi già applicabili dalla data di entrata in vigore del codice (3 agosto 2017).

 

Ovviamente, con riferimento al requisito oggettivo, le norme si applicano ai i rapporti instaurati da tale data in avanti, per il principio della irretroattività delle leggi.

 

Per quanto riguarda, invece, l’ambito soggettivo, queste norme troveranno applicazione per organizzazioni di volontariato e associazioni di promozione sociale; per le Onlus, invece, essendo provvisoriamente ancora in vigore la disciplina di cui al D.Lgs. 460/1997, sarà ancora questa il riferimento per la definizione, ad esempio, di lucro indiretto.

 

Per la determinazione dei valori di retribuzione su cui calcolare il lucro indiretto il Ministero ritiene che: “… saranno quelli scaturenti dai diversi livelli della contrattazione collettiva (nazionale, territoriale o aziendale). In particolare, stante il generico riferimento dell’articolo 8 comma 3 al concetto di retribuzione, si ritiene che debba essere presa a riferimento a tal fine anche la parte variabile della retribuzione …”.

 

La nota conclude confermando che la sussistenza di qualsiasi forma di rapporto di lavoro con l’ETS preclude al lavoratore la possibilità di svolgere attività di volontariato per il medesimo ente.

 

L’ultima nota da esaminare è la n. 2243 del 04.03.2020.

 

In via preliminare si conferma che uno degli elementi qualificanti la natura di Ets sia l’aspetto privatistico: “con conseguente esclusione delle pubbliche amministrazioni dal perimetro del terzo settore”.

 

Ciò premesso il documento di prassi amministrativa interviene per chiarire la portata dell’articolo 4, comma 2, del codice del terzo settore, laddove introduce il principio che gli Ets non possano essere sottoposti “a direzione e coordinamento o controllati” da amministrazioni pubbliche, formazioni e associazioni politiche, sindacati, associazioni professionali, di rappresentanza di categorie economiche o di datori di lavoro.

 

Assodato che la natura associativa impedisce ogni applicazione del concetto di controllo alla misura della partecipazione del capitale, il Ministero ritiene che detta situazione si verifichi: “laddove l’atto costitutivo e lo statuto riservino ad un determinato soggetto”, ricompreso nell’elenco sopra ricordato, “la maggioranza dei voti esercitabili nell’organo assembleare, di indirizzo o nell’organo amministrativo, a prescindere dai diversi schemi di governance che gli Ets possono adottare”.

 

Il Ministero ricorda come possa sussistere anche una forma di controllo esterno, pertanto comunque vietato, nel caso in cui vi siano “accordi di natura contrattuale tra due o più enti, dei quali quello (o quelli) appartenente alle categorie escluse sia posto in condizione, in virtù di tali accordi, di esercitare un’influenza dominante sull’altro, determinandone gli indirizzi gestionali”.

 

Per quanto riguarda, invece, la sussistenza di una attività di direzione e coordinamento da parte dei soggetti esclusi, questa, secondo il Ministero, dovrà essere verificata in concreto “sulla base di elementi suscettibili di indicare una effettiva influenza sulla gestione da parte del soggetto escluso”.

 

Si specifica, infine, che per le imprese sociali varranno, invece, le specifiche discipline in materia previste dal D.Lgs. 112/2017.

 

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La Legge 398/1991 e le prestazioni connesse – II° parte

12/02/2020 di Guido Martinelli

Alla medesima conclusione raggiunta nel precedente contributo, ossia che il riferimento ai proventi connessi si debba riferire solo ai fini Iva, si giunge anche esaminando le disposizioni normative in materia.

 

La Legge 398/1991, infatti, al suo articolo 2, quando, al comma 3, fa riferimento all’imposta sul valore aggiunto, ne prevede l’applicabilità secondo le “modalità di cui all’articolo 74 quinto comma del decreto del presidente della repubblica 26 ottobre 1972 n. 633” mentre, quando, al successivo comma 5, si occupa delle imposte sui redditi prevede espressamente che: “il reddito imponibile dei soggetti di cui all’articolo 1 è determinato applicando all’ammontare dei proventi conseguiti nell’esercizio di attività commerciali il coefficiente di redditività…” .

 

Il citato articolo 9 D.P.R. 544/1999 facendo espresso riferimento all’articolo 74 D.P.R. 633/1972 fa evidente riferimento solo ai fini Iva.

 

Da tutto quanto sopra ne consegue, ad avviso dello scrivente, che le associazioni e società sportive dilettantistiche (nonché tutte le altre associazioni senza scopo di lucro a cui la disposizione si potrà applicare fino alla data di entrata in vigore del titolo decimo del codice del terzo settore), che hanno optato per gli adempimenti di cui alla Legge 398/1991, potranno applicare, ai fini delle imposte sui redditi, il coefficiente di reddittività del 3 % sull’ammontare di tutti i proventi conseguiti nell’esercizio di attività commerciali, a cui andrà aggiunto l’intero importo delle plusvalenze patrimoniali, mentre per le società sportive il citato coefficiente si applicherà su tutti i proventi e componenti positivi che concorrono a formare il reddito complessivo ai sensi dell’articolo 81 Tuir.

 

Analoga distinzione non potrà essere richiamata ai fini Iva. Infatti, in tal caso, sarà necessario distinguere solo i proventi conseguiti soggetti a tale imposta, i quali si debbano ritenere “connessi” alla attività istituzionale, da quelli che non lo sono.

 

Solo quelli riconducibili alla prima fattispecie potranno godere della determinazione forfettaria; per i secondi sarà, invece, necessario operare in regime ordinario Iva.

 

Pertanto, si ritiene che si debba confermare la prassi applicativa fino ad oggi in essere che, ai fini delle imposte sui redditi, riteneva che tutti i proventi commerciali confluissero nel regime di cui alla Legge 398/1991 (andando quindi ad incidere sul plafond previsto per tale disposizione). Da ciò ne consegue che i proventi dovrebbero essere riportati mensilmente, per totale, nel registro previsto a tal fine.

 

Se così fosse, e se l’Agenzia confermasse questa interpretazione, come ci si augura possa fare a stretto giro, ne deriverebbe che, allo stato dell’arte, in virtù, si ricorda, delle previsioni di cui al D.M. 10.05.2019, al cui interno sono contenute specifiche fattispecie di esonero dal generale obbligo di trasmissione telematica dei corrispettivi per la “fase di prima applicazione” dell’adempimento, tra le quali sono richiamate le operazioni non soggette all’obbligo di certificazione già previste dall’articolo 2 D.P.R. 696/1996 che alla lettera hh) del comma 1, sarebbero escluse dalla trasmissione telematica dei corrispettivi le “cessioni e le prestazioni poste in essere dalle associazioni sportive dilettantistiche che si avvalgono della disciplina di cui alla legge 398/91”.

 

Ecco allora che, fino a quando questa specifica fattispecie di esonero rimarrà operativa, le associazioni e società sportive dilettantistiche che utilizzano il regime di cui alla Legge 398/1991 certamente risulteranno dispensate dall’obbligo di memorizzazione e comunicazione telematica dei corrispettivi per tutte le attività commerciali sia connesse che non a quelle istituzionali, comprese le attività spettacolistiche a carattere sportivo.

 

La differenziazione tra proventi commerciali connessi o meno rileverà solo ai fini Iva. Si porrà, pertanto, il problema dell’attivazione dei registri iva per i proventi commerciali non connessi alle finalità istituzionali e, con maggiore rilevanza, si porrà il problema se sia possibile operare una rivalsa Iva sugli acquisti relativi ai proventi di natura commerciali non connessi, sul come individuarli e su quale trattamento applicare agli eventuali costi promiscui.

 

Se così fosse verrebbe a decadere anche il presunto vantaggio, secondo alcuni previsto dall’articolo 86 codice del terzo settore, che prevede la determinazione forfettaria dei redditi su tutti i proventi di natura commerciale, ivi compresi quelli non connessi.

 

Inoltre, è utile ricordare che, avendo l’Agenzia delle entrate, nella circolare 18/E/2018, indicato che non sono ricompresi tra le attività connesse, “i corsi per attività sportive che non rientrano nell’ambito delle discipline sportive riconosciute dal Coni”, deve ritenersi che, se la lettura fornita è quella di ritenere attività sportiva dilettantistica esclusivamente quella considerata tale dal Coni, analogamente dovrà essere considerata solo quella riconosciuta dal Coni attività di interesse generale sportiva prevista dal codice del terzo settore.

 

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La Legge 398/1991 e le prestazioni connesse – I° parte

12/02/2020 di Guido Martinelli

La lettura della pubblicazione, avvenuta nello scorso 2015, di una guida, da parte della Direzione regionale del Piemonte della Agenzia delle entrate, dal titolo “Associazioni sportive dilettantistiche: come fare per non sbagliare”, creò, tra le associazioni e società sportive dilettantistiche e gli altri enti senza scopo di lucro che avevano fatto l’opzione per l’applicazione della L. 398/1991, un “timore”. Veniva, infatti, per la prima volta, introdotto il concetto di corrispettivo commerciale connesso alle attività istituzionali, come tale rientrante nel campo di applicazione della citata disposizione legislativa, distinto da quello non connesso, come tale escluso.

 

Tale distinguo veniva poi ribadito dalla circolare AdE 18/E/2018. Detto provvedimento di prassi amministrativa entrava nel merito, fornendo anche una casistica ampia e circostanziata, di quali fossero le tipologie di proventi, per una associazione o società sportiva dilettantistica, da ritenere “connessi” rispetto ad altri.

 

Fra questi venivano ricompresi quelli derivanti da: “somministrazione di alimenti e bevande effettuata nel contesto dello svolgimento dell’attività sportiva dilettantistica, dalla vendita di materiali sportivi, di gadget pubblicitari, dalle sponsorizzazioni, dalle cene sociali, dalle lotterie”. Evidentemente esclusi tutti quelli non strettamente collegati, direttamente o indirettamente, all’evento sportivo.

 

È importante sottolineare che l’Agenzia aveva ritenuto non ricomprese, invece, tra le attività connesse, “corsi per attività sportive che non rientrano nell’ambito delle discipline sportive riconosciute dal Coni”.

 

Fino ad allora, e si oserebbe dire fino ad oggila prassi applicativa aveva ritenuto tutti i proventi commerciali percepiti dall’ente senza scopo di lucro, indifferentemente, soggetti alla L. 398/1991, sia ai fini Iva che ai fini dei redditi.

 

La presa di posizione della Amministrazione Finanziaria ha portato molti commentatori a ritenere che gli enti che avevano fatto l’opzione per la L. 398/1991 a questo punto avrebbero dovuto gestire, di fatto, tre contabilità: quella per le attività istituzionali, quella per le attività commerciali connesse in regime 398/1991 e quelle non connesse in regime ordinario, sia ai fini iva che delle imposte sul reddito.

 

Il presupposto normativo della posizione assunta dalla Amministrazione finanziaria appariva essere l’articolo 9, comma 1, D.P.R. 544/1999, secondo il quale le associazioni e le società sportive dilettantistiche senza fini di lucro che optavano per il regime agevolativo di cui alla L. 398/1991 applicavano “per tutti i proventi conseguiti nell’esercizio delle attività commerciali connesse agli scopi istituzionali” le disposizioni previste dall’articolo 74, comma 6, D.P.R. 633/1972 (ossia la forfettizzazione del cinquanta per cento dell’iva incassata ad eccezione della cessione di diritti radiotelevisivi, per i quali l’abbattimento si riduce a un terzo).

 

Da detti presupposti legislativi e di prassi amministrativa, in via interpretativa si è ritenuto che ai proventi commerciali non connessi con le finalità istituzionali non potesse applicarsi in toto la L. 398/1991, sia ai fini reddituali che ai fini Iva.

 

Si ritiene che, in realtà, dalla lettura delle indicazioni provenienti dalla Amministrazione e, principalmente da quella delle norme che disciplinano la materia si possa arrivare ad una conclusione parzialmente diversa.

 

Il documento della Direzione piemontese indica che, per i soggetti che hanno optato per l’applicazione della L. 398/1991, “si applica il coefficiente di redditività del tre per cento al totale dei proventi conseguiti nell’esercizio dell’attività commerciale”. Mentre, ai fini Iva: “per applicare il regime forfetario nell’ambito delle operazioni rilevanti ai fini iva occorre distinguere tra le operazioni direttamente connesse e quelle non direttamente connesse agli scopi istituzionali.”

 

La circolare AdE 18/E/2018 prevede che: “il reddito imponibile delle associazioni e delle società sportive dilettantistiche senza fini di lucro che hanno optato per il regime agevolativo previsto dalla stessa legge n. 398, viene determinato applicando all’ammontare dei proventi conseguiti nell’esercizio di attività commerciali il coefficiente di redditività nella misura del 3 per cento, … le società sportive dilettantistiche… devono applicare il coefficiente di redditività del 3 per cento su tutti i proventi e componenti positivi che concorrono a formare il reddito complessivo ai sensi dell’articolo 81 del TUIR, escluse le plusvalenze patrimoniali….”.

 

Mentre invece, ai fini iva, la citata circolare indica che: “ai soggetti che hanno optato per la legge n. 398 del 1991, il regime forfetario Iva di cui all’articolo 74, sesto comma, del DPR n. 633 del 1972 si applica per tutti i proventi conseguiti nell’esercizio di attività commerciali “connesse agli scopi istituzionali” (v. articolo 9, comma 1, del DPR n. 544 del 1999). L’applicazione del regime agevolativo di cui alla legge n. 398 del 1991 è, pertanto, limitato alle prestazioni commerciali connesse alle attività istituzionali svolte associazioni o società sportive dilettantistiche senza fini di lucro. In sostanza, se un’associazione o società sportiva dilettantistica senza fini di lucro svolge un’attività commerciale autonoma e distinta da quella istituzionale, la stessa non può usufruire, per detta attività, del regime agevolato in argomento”.

 

Come si evince, l’Agenzia indica un trattamento differenziato sui proventi commerciali non connessi per i soggetti che applicano la L. 398/1991 solo ai fini Iva.

 

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Il Codice del Terzo Settore e la semplificazione fiscale – II° parte

23/01/2020 di Guido Martinelli

Proseguendo l’analisi avviata con il precedente contributo, giova sottolineare che ulteriori complicazioni possono nascere per quegli enti del terzo settore (aps o meno) che svolgono la pratica sportiva dilettantistica come attività di interesse generale e, a tal fine, sono anche regolarmente iscritti al Registro Coni delle società e associazioni sportive dilettantistiche.

 

La circolare 18/E/2018 dell’Agenzia delle entrate, fornendo la risposta ad alcuni quesiti emersi nel tavolo di confronto aperto con l’apposita commissione Coni, ha ritenuto, ad esempio, che i corrispettivi derivanti dalla cessione del diritto sportivo alla partecipazione ad un determinato campionato o dei diritti sulle prestazioni sportive di un atleta, ove questa non abbia intento speculativo (acquisto per la rivendita), possano godere, ai fini dei redditi, della decommercializzazione del provento ai sensi di quanto previsto dall’articolo 148, comma 3, Tuir.

 

La circolare assumeva il presupposto che, sia il cedente che il cessionario, fossero “solo” associazioni o società sportive dilettantistiche e, pertanto, perfettamente legittimate, sussistendone i presupposti, ad utilizzare la norma di favore da ultimo citata.

 

Ma se la cedente o la cessionaria fossero “anche” enti del terzo settore, nei confronti dei quali non appare possibile applicare l’articolo 148 Tuir (ai sensi di quanto previsto dall’articolo 89, comma 1, lett. a, D.P.R. 117/2017, di seguito “cds”) cosa si dovrà fare? Se la cedente fosse solo iscritta al registro Coni si applicherà la decommercializzazione che invece verrà meno se la titolare del diritto in questione fosse anche iscritta al Runts?

 

E se, come ritiene lo scrivente, venisse confermato che la cessione dei diritti sulle prestazioni degli atleti sia soggetta ad Iva ai sensi dell’articolo 4 L. 398/1991, applicabile come tale alle sportive ma non agli enti del terzo settore (vedi lettera c del citato articolo 89, comma 1, cts) dovremmo ritenere che la cessione dell’atleta di un sodalizio iscritto solo a registro Coni applica la defiscalizzazione ai fini delle imposte sui redditi ma è assoggetta ad Iva? Ciò significherebbe, poi, che la sportiva anche iscritta al Runts assoggetterà ad imposta sui redditi il corrispettivo della cessione ma non ad iva applicando l’articolo 4, comma 4, D.P.R. 633/1972?

 

Questo significherà quindi che il corrispettivo per la cessione non entrerà nel plafond della L. 398/1991 per la sportiva iscritta solo al registro Coni entrando, invece, nel plafond del regime forfettario di cui all’articolo 86 cts per la sportiva del terzo settore.

 

Nessuno credo potrà negare che la fattispecie non sia per nulla “semplificata”.

 

Qualche ulteriore considerazione sui corrispettivi specifici per servizi conformi alle finalità istituzionali versati da soci e tesserati, oggi defiscalizzati ai fini delle imposte sui redditi, sia per le associazioni che per le società sportive dilettantistiche, dal combinato disposto di cui all’articolo 148, comma 3, Tuir articolo 90, comma 1, L. 289/2002.

 

Avendo il codice del terzo settore riservato questa possibilità agevolativa solo alle associazioni di promozione sociale ne deriva, di conseguenza, che le società sportive dilettantistiche che intendessero entrare nel terzo settore (ad esempio come impresa sociale) non potrebbero godere mai di tale trattamento di favore.

 

Ma l’aspetto curioso che si voleva evidenziare è il trattamento del corrispettivo versato dal “familiare convivente” (ad esempio coniuge o figlio) dell’associato.

 

Per le associazioni sportive iscritte solo al registro Coni l’importo versato dal familiare convivente sarà sempre imponibile, sia ai fini Iva che ai fini delle imposte sui redditi, salvo che il medesimo non sia anche tesserato ad un ente sportivo nazionale riconosciuto dal Coni.

 

Per le associazioni di promozione sociale iscritte anche al registro Coni l’importo sarà decommercializzato ai fini delle imposte sui redditi, ma sarà soggetto a Iva.

 

Per l’ente del terzo settore sportivo non iscritto al Runts nella sezione delle aps, l’importo sarà sempre e comunque commerciale sia ai fini Iva che ai fini delle imposte sui redditi, salvo che l’attività sia svolta con modalità non commerciali ai sensi di quanto previsto dall’articolo 79, comma 2, cts.

 

Un’ultima considerazione deriva dalla lettura del comma 5 bis del citato articolo 79 cts. Viene riportato un elenco di proventi che, a determinate condizioni, sono ritenuti non commerciali, “tenuto conto altresì del valore normale delle cessioni o prestazioni afferenti le attività svolte con modalità non commerciali”.

 

Come si potrà calcolare questo valore normale? Anche qui, purtroppo, sarà necessario lasciare il campo alla prassi amministrativa.

 

 

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Il Codice del Terzo Settore e la semplificazione fiscale – I° parte

23/01/2020 di Guido Martinelli

La L.106/2016, contenente la delega al Governo per la riforma del Terzo settore, al suo articolo 9, proponeva come obiettivo per i decreti delegati l’armonizzazione della disciplina tributaria applicabile agli enti iscritti al Runts e la razionalizzazione dei regimi fiscali e contabili semplificati.

 

A posteriori, alla auspicabile vigilia dell’entrata in vigore della parte fiscale della riforma (il titolo X del D.Lgs. 117/2017, d’ora in avanti cts) questo obiettivo si ritiene sia stato raggiunto solo parzialmente.

 

L’articolo 79, comma 2, cts, che reca le disposizioni in materia di imposte sui redditi, disciplina la natura “non commerciale” delle attività di interesse generale, ritenendo tali quelle svolte a titolo gratuito o dietro corrispettivi che non superino i costi effettivi (con la possibilità, prevista dal comma 2 bis, di superare detto limite del 5 per cento per non oltre due periodi di imposta consecutivi).

 

Il tenore letterale porterebbe a concludere che tale giudizio sia possibile averlo solo “a consuntivo”, ossia solo al termine dell’esercizio. Pertanto, comma quinto della medesima norma, l’ente del terzo settore è considerato non commerciale quando svolge le attività di interesse generale con le modalità sopra indicate.

 

Rimane da chiarire se questo rapporto andrà fatto prendendo i costi al netto o al lordo dell’iva.

 

Ma il successivo comma 5 ter prevede che: “il mutamento della qualifica, da ente del terzo settore non commerciale a ente del terzo settore commerciale, opera a partire dal periodo di imposta in cui l’ente assume natura commerciale”. Ciò porta a ritenere che, ove l’ente, a consuntivo (perché solo in quel momento potrà valutare le modalità con le quali ha svolto l’attività), verificasse che l’attività prevalente fosse da considerare commerciale sarà costretto a rideterminare, ai fini fiscali e contabili, tutto l’esercizio appena concluso. Con le problematiche facilmente intuibili e con sanzioni legate, ad esempio, a ritardati versamenti Iva.

 

L’articolo 89comma 7 del cts prevede, alla sua lettera b), che le disposizioni di esenzione da Iva di cui all’articolo 10 D.P.R. 633/1972, originariamente previste per le Onlus, si applichino agli enti del terzo settore di natura non commerciale.

 

Ma questo significherà che solo a consuntivo si potrà ricevere conferma di avere operato correttamente o meno in esenzione da Iva. E se così non fosse, sarebbe necessario sanare, con le penalità previste, il ritardato versamento di una imposta che, tra l’altro, non sarebbe stata nemmeno incassata.

 

L’articolo 79, comma 5, cts prevede che non entrino, nel computo dei proventi commerciali che determinano la natura dell’ente, “le attività di sponsorizzazione svolte nel rispetto dei criteri di cui al decreto previsto all’articolo 6”.

 

Il primo problema che emerge è che il contratto di sponsorizzazione non è un contratto tipizzato. Pertanto, cosa si dovrà/potrà intendere con questo termine? La mera cartellonistica pubblicitaria collocata in modo permanente in un centro culturale, in un teatro, in un impianto sportivo potrà essere ritenuta sponsorizzazione o no?

 

Ma se le anticipazioni sul contenuto del decreto sulle attività diverse di cui all’articolo 6, in corso di approvazione definitiva, saranno confermate, ossia che i ricavi per attività diverse non potranno essere superiori al 30 per cento del totale dei ricavi dell’ente, i proventi da sponsorizzazione non solo incideranno sulla natura dell’ente, ma addirittura gli impediranno di permanere tra gli enti del terzo settore proprio per la perdita della natura “secondaria e strumentale” di questi proventi per attività diversa.

 

Assisteremo, quindi, al “rifiuto” di contratti di sponsorizzazione, da parte di enti culturali o sportivi che, virtuosamente, hanno cercato di reperire fondi sul mercato dei servizi “promopubblicitari” per non gravare di costi sugli utenti dei servizi, e che si troveranno nella necessità di decidere o di rinunciare al provento o di perdere la natura di ente del terzo settore?

 

Appare oscura, almeno allo scrivente, anche la previsione dell’articolo 80, comma 4, cts. Viene infatti previsto che: “gli enti che intraprendono l’esercizio di impresa commerciale esercitano l’opzione nella dichiarazione…”. Ma inserito in un articolo che disciplina il regime forfetario degli enti del terzo settore non commerciali, come può un ente che svolge attività di impresa esercitare l’opzione per detto regime?

 

Non possiamo non ricordare che anche in altre norme viene indicato lo svolgimento da parte degli ets di attività di impresa commerciale: si veda, ad esempio, l’articolo 11, comma 2, cts, che, nel caso, prevede l’obbligo dell’iscrizione anche nel registro delle imprese.

 

Ma quand’è che un ets “commerciale” diventa anche una “impresa commerciale”? Forse, anche da questo punto di vista, un chiarimento sarebbe opportuno.

 

 

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