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AUDIZIONE SETTIMA COMMISSIONE SENATO 05.01.2021 ORE 15.00

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Considerazioni preliminari

 

L’audizione odierna ha per oggetto i cinque schemi di decreto legislativo oggetto della delega che trae origine dalla L. 86/2019 (“Deleghe al Governo e altre disposizioni in materia di ordinamento sportivo, di professioni sportive nonché di semplificazione”).

 

La mancata approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del sesto decreto, quello c.d. “ordinamentale”, ossia quello che ridisegnava ruoli e compiti delle organizzazioni di vertice dello sport italiano (Coni, Sport e salute, Dipartimento sport presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Federazioni, discipline sportive associate e Enti di promozione sportiva) lascia irrisolti numerosi dubbi che ricadono anche sui testi oggetto dell’esame odierno.

 

L’atto del Governo n. 230 che reca: “Riordino e riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici nonché di lavoro sportivo” appare, per i suoi contenuti, quello maggiormente gravido di importanti e rilevanti conseguenze per lo sport italiano, ed è il testo su cui concentreremo le nostre maggiori attenzioni.

 

Come indicato nelle varie relazioni di accompagno, ad oggi solo quattro discipline sportive hanno attivato al proprio interno un settore professionistico ai sensi della l. 91/81 (calcio, pallacanestro, ciclismo e golf). Non vi è dubbio, quindi che, rispetto alle quasi 400 discipline sportive riconosciute dal Coni, il ridotto numero di quelle che hanno ufficializzato il regime del professionismo dimostra l’estrema difficoltà di estendere il perimetro di quella legge oltre alle citate discipline, di maggior impatto sui media e sul pubblico.

 

Il legislatore delegato ha omesso ogni considerazione sul “perché” fino ad oggi l’inquadramento come professionistico non avesse raccolto l’interesse di molte attività sportive e ha riproposto, praticamente con un lavoro di “copia – incolla” nello schema di decreto delegato la medesima disciplina della legge n. 91/81 che abroga.

 

Va anzi detto che avendo introdotto un concetto unitario di lavoro sportivo, di fatto la distinzione tra professionismo e dilettantismo si riduce alla possibilità, per i sodalizi professionistici di avere lo scopo di lucro e, dall’altro, per i dilettanti, di poter usufruire delle prestazioni degli amatori e dei collaboratori amministrativo – gestionali. In più l’attività dilettantistica continua ad essere determinata per differenza rispetto a quella professionistica, la cui identificazione è rimasta nel potere discrezionale delle Federazioni secondo gli indirizzi del Coni.

 

Onestamente, in una visione prospettica di sviluppo dello sport, crediamo che questa appaia, strutturalmente, la criticità che debba essere più rimarcata. Infatti non vi è dubbio, ad avviso di chi scrive, che ormai il mondo dello sport sia suddiviso in quattro macro aree.

 

L’attuale area del professionismo sportivo, laddove si ritiene possano rimanere (a fatica) solo le attuali 4 discipline, stante gli oneri che comporta e che meglio saranno indicati in seguito, quella di una “zona cuscinetto” che in passato avevamo definito tertium genus tra il mondo del dilettantismo e quello del professionismo, che potrebbe racchiudere tutte le società e associazioni che fanno attività sportiva agonistica in via prevalente a livello nazionale e interregionale, le “imprese sportive” intendendo come tali le società e associazioni che gestiscono palestre e impianti sportivi e in cui, invece, prevale lo svolgimento di attività fisica o motoria (come correttamente definita all’art. 2 co. 1 lett. f. Definizione a seguito della quale non si rintraccia poi nell’articolato alcuna specifica disciplina) nell’ambito dei quali avrebbero potuto trovare compiuta disciplina i nuovi “chinesiologi”, gli enti dilettantistici veri e propri che svolgono sport sociale che potrebbero essere gli unici interessati “anche” ad assumere la veste di enti del terzo settore.  

 

Si era chiesto, anche in precedenti audizioni connesse al mondo dello sport (vedi gli atti dei lavori della settima commissione del Senato, XVII legislatura la cui risoluzione fu approvata in data 6 dicembre 2016) la creazione di un settore intermedio, tra il professionismo “modello calcio” e l’attività dilettantistica di base all’interno del quale collocare soggetti che svolgono attività economiche quali, ad esempio, i gestori di impianti sportivi e, per l’appunto, i rimanenti sport di squadra di vertice.

 

Ognuno di questi 4 settori ha oggi specificità proprie, a partire dalla necessità, per lo scrivente, di rimettere in gioco il presupposto dell’assenza di finalità lucrative. Lo sport avrà sempre di più necessità di investimenti privati per poter evolvere per i quali una remunerazione dovrà poter essere garantita. Appare pacifico che in questo quadro a nulla serve il timido tentativo introdotto di prevedere una parziale distribuzione di utili per le società sportive di cui al libro V del codice civile, scelta che appare più “copiata” dalla previsione dell’impresa sociale di cui al d. lgs. 112/17 che da una scelta strategica in favore dello sport.

 

Invece di andare, come si sarebbe auspicato, quindi, verso discipline giuridiche differenti sulla base del collocamento della propria attività sportiva in una o nell’altra delle macro aree, si è preferito, di fatto, uniformare tutta in un unicum, senza tenere conto, ad esempio, della causa (ludica, di solidarietà, economica) che spinge un soggetto a svolgere attività nello sport e soffocando ogni differenziazione esistente sul piano delle motivazioni esistenti nello svolgimento della pratica sportiva.

 

Per l’attività professionistica, la circostanza che il legislatore delegato abbia dovuto mantenere la non applicazione di molti istituti tipici del rapporto di lavoro subordinato già presenti nella l. n. 91/81 (vedi art. 26 co. 1), snaturandone pertanto alcuni pilastri fondamentali con particolare riferimento allo statuto dei diritti dei lavoratori, non lo ha portato a ritenere opportuno, come lo scrivente avrebbe auspicato, rimettere in discussione la presunzione di subordinazione ivi prevista. I cui effetti cadranno, a riforma operante, a cascata anche sulle rimanenti discipline. Anzi si è allargata la fattispecie applicandola anche al mondo dilettantistico.

 

Ricordo, ad esempio, che le società partecipanti al campionato di A2 di pallacanestro, hanno richiesto alla Federazione la “retrocessione”, da campionato professionistico come era in origine, a campionato dilettantistico, proprio per l’oggettiva impossibilità a mantenere gli obblighi previsti dalla legge n. 91/81 legati, appunto, alla presunzione di subordinazione del rapporto.

 

Le motivazioni sono molteplici. Innanzitutto legate al costo degli atleti provenienti da Federazione straniera. Costoro, nei campionati dilettantistici, rimangono in Italia, in media, 3 o 4 stagioni. Pertanto, rimangono ben lontani dai 20 anni di contributi minimi per godere del trattamento previdenziale del fondo lavoratori sportivi. In più, spesso, hanno regimi di quiescenza non compatibili con i versamenti effettuati nel nostro Paese.

 

Questo comporta che il costo previdenziale rimane indifferente all’atleta proveniente da Federazione straniera, in quanto non ne potrà godere dei benefici relativi (e pertanto farà la sua richiesta di compenso prescindendo da questa componente) mentre rimarrà come costo “puro” per la società sportiva che lo tessera.

 

In più, paradossalmente, il costo previdenziale per i campionati nazionali dilettantistici degli sports di squadra appare superiore, in termini percentuali, rispetto a quello che sostiene il calcio. Infatti, essendo previsto per i contributi alla gestione  spettacolo, come da tabella che si produce, una contribuzione piena fino ad un ammontare di compensi annui pari a euro 103.055, un contributo figurativo fino a euro 751.278 e nulla sulla parte eccedente, gli atleti che percepiscono retribuzioni “importanti” come accade nel calcio, spalmandosi il carico previdenziale su tutto il compenso, hanno un ricarico più basso (e per i redditi più alti molto più basso in termini percentuali, ovviamente) di quello che dovrebbe sostenere un atleta i cui compensi, come accade nella quasi totalità degli atleti tesserati per le società dilettantistiche, rimangono all’interno della fascia ad aliquota piena pari a euro 103.055.

 

 

Questo significa che, comunque, per i lavoratori subordinati dilettanti tutti i contributi previdenziali verrebbero versati ad aliquota piena e che, per la maggior parte di essi, per l’esiguità del compenso, in regime contributivo, produrrà un assai poco rilevante vantaggio previdenziale.

 

La suddivisione dello sport in soli due mondi, quello dilettantistico e quello professionistico, appariva già da tempo anacronistica, pur nonostante è stata mantenuta. Anzi, per i motivi che meglio saranno descritti successivamente, si è di fatto equiparato il professionismo al dilettantismo

 

Che nel mondo dilettantistico ci fosse la necessità di distinguere le attività meramente volontarie e ludiche da quelle di matrice economica era richiesta oggettivamente esistente, ma sicuramente non immaginando che giungesse, di fatto, a costringerci ad applicare le medesime regole del mondo del calcio.

 

L’individuazione, poi, di alcune mansioni tipizzate (Atleta, Allenatore, Istruttore, Direttore tecnico, Direttore sportivo, Preparatore atletico, Direttore di gara), anche qui seguendo la scia già indicata dalla legge n. 91/81 porta a due ulteriori considerazioni.

 

Infatti, le “funzioni”, specialmente quelle a carattere dirigenziale connesse ad esempio alla carica di direttore sportivo, ben possono essere svolte da soggetto che non possiede tale qualifica (ad esempio dirigente accompagnatore, figura riconosciuta da molti regolamenti federali). In tal caso l’applicazione della nuova disciplina sul lavoro sportivo sarà legata alle funzioni svolte o alla qualifica riconosciuta al lavoratore? Questo è uno, e forse non il più importante, dei numerosi quesiti che indicheremo a cui si chiede che sia data risposta.

 

Ma l’aspetto che ci interessa rimarcare maggiormente è l’assoluta mancanza di valutazione della causa della prestazione d’opera sportiva a carattere oneroso. Si è dato per presupposto che, in questo caso, si debba trattare di un rapporto di carattere lavorativo a prestazioni corrispettive. Questo farà nascere l’errata convinzione che si possa lavorare nello sport come atleti e che questa sia “la professione” svolta. Temiamo che questa convinzione, purtroppo già presente, sia del tutto incompatibile con lo sport italiano in generale e a maggior ragione in questo particolarissimo momento che stiamo vivendo.

 

Così non è e la difficoltà che riteniamo maggiore sarà appunto quella di poter distinguere, nella fascia fino a euro 10.000 di corrispettivo cosa e come poter distinguere il lavoratore dall’amatore.  

 

Dalla tipizzazione sopra indicata ne deriva che altre figure tipiche dello sport (ad esempio dirigente accompagnatore, dirigente addetto agli arbitri, covid manager, medico sociale, massaggiatore) non rientrano nella disciplina specifica descritta nel decreto. Queste ultime figure, pertanto, potranno essere lavoratori subordinati, autonomi o “amatori” (art. 29). 

 

A ciò si aggiunga anche la previsione dell’abolizione del vincolo sportivo nel giro di un anno che, non disciplinata in maniera adeguata  da un lato si pone il fine di agevolare il trasferimento degli atleti tra società/associazioni sportive, dall’altro elimina un’ulteriore fonte di entrata per i sodalizi sportivi di provenienza dell’atleta e potrà essere una causa di perdita di liquidità complessiva del sistema sportivo dilettantistico, come accaduto per quello professionistico in cui le risorse non transitate da un club all’altro sono state canalizzate verso spese aggiuntive (prevalentemente ingaggi e fee a procuratori). Senza anche qui aver tenuto presente questo cosa possa significare per l’equilibrio di bilanci che potrebbero aver valorizzato il diritto sulle prestazioni degli atleti. Questo produrrà un incremento del ruolo degli agenti, oggetto tra parentesi dell’atto di Governo n. 226, che produrranno ulteriori costi a carico dei club.

 

Nessuna tutela o incentivo viene dato a chi voglia costituire o gestire una società o associazione sportiva dilettantistica. Avremo tanti lavoratori senza datori di lavoro?

 

Viene previsto che la contrattazione collettiva avvenga attraverso “ le organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale delle categorie dei lavoratori sportivi”. Di cosa siano non c’è cenno nelle definizioni dell’art. 2 che ricorda solo le associazioni giocatori. Detti contratti sarà sufficiente che li firmino le attuali ed esistenti associazioni di giocatori o tecnici, o sarà necessario dare ingresso ai sindacati confederali?

 

Così come previsto dal Codice del Terzo settore anche il nuovo decreto sullo sport prevede che per gli enti dilettantistici l’attività sportiva debba essere svolta “in via stabile e principale” e disciplina, poi, la possibilità di esercitare “attività diverse” purché queste siano previste espressamente in statuto e che “abbiano carattere secondario e strumentale rispetto alle attività istituzionali secondo criteri e limiti definiti con decreto…”: è tipico di molte attività sportive avere un mix di proventi, di natura diversa, che vengono conseguiti proprio per il fine di finanziare le attività sportive (si pensi alle attività di ristorazione, di pubblicità e sponsorizzazione, di merchandising, di gestione di attività estetiche o fisioterapiche). Cosa accadrà se queste, come spesso avviene, siano di importo maggiore di quelle conseguite con lo svolgimento delle attività sportive tipiche? Non potranno essere utilizzate?

 

Il finanziamento dell’attività sportiva è storicamente fondato su tre “pilastri”: a) le quote associative e i corrispettivi specifici (quote di frequenza) connessi alla offerta di servizi sportivi; b) gli introiti promopubblicitari; c) lo svolgimento di attività commerciali a supporto dell’attività sportiva (ad esempio la vendita biglietti di ingresso alle manifestazioni,  la gestione dei posti di ristoro e dell’impianto sportivo, il merchandising).

 

I corrispettivi di cui alle lettere b) e c) costituiscono per le nostre associate i proventi assolutamente prevalenti e dei quali appare impossibile farne a meno. Cosa possa accadere nel caso in cui così fosse non viene indicato ed è altra criticità che deve essere rimarcata con la massima energia.

 

Nel merito dell’atto di Governo in esame sul riordino degli enti e sul lavoro sportivo

 

Definizioni

 

Già la lettura delle definizioni, contenute all’articolo 2, lascia qualche margine di incertezza.

 

La parola sport (punto ll) viene così declinata: “qualsiasi forma di attività fisica fondata sul rispetto di regole ….”. Ma, allora, ci si dovrà porre il problema di come classificare le c.d. “attività motorie”, ossia quelle che vengono svolte all’aperto o che vengono fatte nelle palestre e che non hanno “regole” di svolgimento (ognuno alle macchine le gestisce secondo le proprie personali esigenze). Queste ultime vengono espressamente definite quale “… movimento esercitato dal sistema muscolo – scheletrico che si traduce in un dispendio energetico superiore a quello richiesto in condizioni di riposo”.

 

Stante la separazione definitoria tra le 2 attività, sembrerebbe ricavarsi che le attività fisiche, normalmente svolte negli impianti sportivi e non finalizzate alla pratica di una disciplina sportiva riconosciuta con “regole” siano da qualificarsi quali “motorie” e, come tali, ci si perdoni la banalità “non sportive”. Diventerebbe quindi necessario meglio comprendere quale sia la disciplina applicabile all’una fattispecie rispetto all’altra. Ecco che la suddivisione di disciplina tra settori in cui prevalga la pratica dell’attività motoria (in cui dovrebbero dominare i chinesiologi) e quella sportiva (ove vi sarebbero i tecnici “patentati” dalle Federazioni e dagli enti) suggerita in premessa avrebbe facilmente risolto questo aspetto

 

Impianto sportivo viene definito quello preposto: “… allo svolgimento di manifestazioni sportive, comprensiva di uno o più spazi di attività sportiva dello stesso tipo o di tipo diverso, la zona spettatori, nonché eventuali servizi accessori e di supporto”.  Ma se così fosse il tipico spazio dove viene svolta ginnastica a corpo libero, non idoneo a ospitare eventi, in quanto non omologabile ad esempio per dimensioni ridotte, in cui non vi è alcuno spazio per gli spettatori, come dovremmo intenderlo? Questo diventa fondamentale anche ai fini della applicazione della disciplina recata dall’atto di governo n. 227 recante il riordino delle norme di sicurezza per la costruzione e l’esercizio degli impianti sportivi.

 

Come lavoratori sportivi vengono inquadrati solo gli atleti, allenatori, istruttori, direttori tecnici, direttori sportivi, preparatori atletici e direttori di gara. Solo nei loro confronti troverà applicazione la nuova disciplina che verrà meglio di seguito sintetizzata.

 

Quindi per le figure diverse nei confronti delle quali fino a oggi si è applicata, per i compensi, la disciplina di cui all’articolo 67, comma 1, lettera m (vedi ad esempio le collaborazioni amministrativo – gestionali) non si applicheranno le nuove regolare sul lavoro sportivo dilettantistico.

 

Questo comporterà, ad esempio, che l’attuale collaboratore inquadrato oggi come “amministrativo gestionale” che ricevesse compensi eccedenti la fascia esente dei 10.000 euro (che, come vedremo, lo porterà a rendere imponibili, sia fiscalmente sia previdenzialmente l’intero importo percepito) sarà soggetto alle aliquote previdenziali piene e non potrà godere degli scaglioni previsti per i soggetti definiti quali “lavoratori sportivi”.

 

Enti sportivi

 

Nel delineare il Registro (che non dovrebbe più essere gestito dal Coni quanto dal dipartimento sport presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri) viene indicato che lo stesso certifica l’effettiva natura dilettantistica dell’attività svolta. Questo aspetto riverbera sulla disciplina del Terzo settore, dove viene prevista tra le attività di interesse generale, lo svolgimento di attività sportive dilettantistiche. Appare chiaro che per poterla considerare tale detto ente del terzo settore dovrà essere iscritto anche al Registro delle sportive. Questo comporterà un obbligo di doppia iscrizione e di doppi adempimenti conseguenti che sicuramente non rientrava tra le finalità del Runts che aspirava ad essere, appunto, il registro “unico” del Terzo settore e di cui i sodalizi interessati avrebbero volentieri fatto a meno.

 

La disciplina del registro trova compiuta normazione nell’atto di governo 228 recante semplificazione di adempimenti relativi agli organismi sportivi. Vengono indicati come documenti da allegare alla domanda di iscrizione una serie di dati (tipo tesserati, contratti con i tecnici, impianti usati) che normalmente non possono essere posseduti all’atto della iscrizione al registro se, come si crede, questo dovrà diventare l’atto propedeutico allo svolgimento di qualsia forma di attività sportiva dilettantistica. Viene previsto l’obbligo, anche per le associazioni, di deposito del bilancio mentre non sembra sussistere l’obbligo di deposito dello statuto. Se così fosse rimarrà in capo all’ente affiliante l’onere di verificare la sussistenza dei requisiti statutari previsti dalle norme in esame al fine della affiliazione del sodalizio sportivo richiedente?

 

Si prevede l’obbligo di devoluzione del patrimonio in caso di scioglimento del sodalizio sportivo. Nulla viene detto, invece, nel caso in cui la società o associazione sportiva chiedesse, senza sciogliersi, la cancellazione dal registro e non provvedesse alla riaffiliazione. In tal caso perderà il patrimonio?

 

Da salutare con assoluto favore l’introduzione di un meccanismo automatico di riconoscimento della personalità giuridica. Andrà chiarito, come già indicato anche nella disciplina sul terzo settore, come questo riconoscimento si possa rapportare con quello previsto dall’art. 14 del codice civile.

 

Vengono ritenute sportive dilettantistiche le associazioni, dotate o no di personalità giuridica, le società “di cui al Libro V Titolo V, cod. civ.”. Lascia perplessi l’abrogazione della possibilità di costituire società sportive dilettantistiche in forma di cooperativa (disciplinate dal Libro VI, una dimenticanza?) e l’introduzione, invece, della possibilità di costituirsi in forma di società di persone, fattispecie le cui caratteristiche, almeno apparentemente, non paiono essere di estremo interesse per il mondo dello sport.

 

Non vi è dubbio che la mancata ricomprensione delle cooperative, ove come si auspica non venisse sanata nel percorso di entrata in vigore del decreto, costringerà le sportive esistenti in tale forma a trasformarsi in società di capitali o di persone. Ma questo dovrà avvenire prima della entrata in vigore del nuovo decreto, e in assenza di certezze sulla sua approvazione. Altrimenti si correrebbe il rischio, a decreto approvato, di non poter più godere delle agevolazioni fiscali previste per lo sport dilettantistico. Un grosso pasticcio che ci si augura possa essere risolto prima della approvazione del provvedimento.

 

Viene chiarito, positivamente, che l’incompatibilità nelle cariche direttive dei sodalizi dilettantistici sussiste “per qualsiasi carica” e non come ora ove l’indicazione “nella medesima carica” porta al possibile equivoco di far ritenere compatibile la carica di Presidente di un club con quella di consigliere di altro club aderente alla medesima Federazione.

 

Tra le disposizioni tributarie si confermano quelle già indicate dall’articolo 90, L. 289/2002 (che viene in gran parte abrogata): la non applicazione della ritenuta del 4% prevista dall’articolo 28, D.P.R. 600/1973 sui contributi erogati dal Coni e dalle Federazioni, l’imposta di registro in misura fissa sugli atti costitutivi e di trasformazione delle sportive e la presunzione di spesa pubblicitaria delle sponsorizzazione fino a 200.000 euro. Si continua qui a definire “fondazioni costituite da istituzioni scolastiche o da associazioni sportive scolastiche” e non si applica il termine “gruppo sportivo scolastico” usato invece dalla legge delega. Si suggerisce di uniformarlo.

 

In merito alla gestione degli impianti, l’articolo 12, comma 2 prevede: “… la gestione è affidata in via preferenziale a società e associazioni sportive dilettantistiche”. Il successivo comma 3 “Gli affidamenti di cui al comma 2 sono disposti nel rispetto delle disposizioni del codice dei contratti pubblici di cui al D. Lgs. 50/2016 e della normativa euro – unitaria vigente”. Come potrà il comma 3, garante della par condicio, essere compatibile con il comma 2 che prevede un affidamento in via preferenziale? Il tema dell’impiantistica sportiva in questo periodo di pandemia è caldissimo e scarsa chiarezza normativa sul punto (in quanto, ad esempio, la legge delega arrivava anche a prevedere la possibilità di un affidamento diretto) potrebbe avere effetti nefasti.

 

Tralasciamo la parte sulle sportive professionistiche in quanto riproduce, sostanzialmente, i contenuti già attualmente in vigore previsti dalla L. 91/1981. Ci sia consentito solo un accenno al comma sette dell’art. 13 laddove si parla di “tifosi” senza chiarire quando un soggetto possa considerarsi tale.

 

Atleti

 

L’articolo 15 prevede che l’atleta con il tesseramento “instaura un rapporto associativo con la propria associazione o società sportiva”. L’affermazione appare foriera di problematiche interpretative in quanto è palese che il tesseramento a una Federazione o a un Ente di promozione sportiva, per come delineato oggi e per come comunque descritto al comma 2 del citato articolo costituisce solo una “licenza” di svolgimento dell’attività sportiva senza alcun riferimento alla sussistenza di vincoli negoziali tra la persona fisica e il sodalizio che ha richiesto il tesseramento. Sotto questo profilo, specialmente con le società di capitali, si crea un contrasto con le norme costitutive della fattispecie delle società di capitali irrisolvibile.

 

L’art. 16 prevede una disciplina articolata per il tesseramento degli atleti minorenni senza, però, chiarire cosa accada nel caso in cui non siano rispettate le prescrizioni ivi indicate

 

Disposizioni in materia di lavoro sportivo

 

Sono considerati lavoratori sportivi: “l’atleta, l’allenatore, l’istruttore, il direttore tecnico, il direttore sportivo, il preparatore atletico, e il direttore di gara che senza alcuna distinzione di genere e indipendentemente dal settore professionistico o dilettantistico, esercita l’attività sportiva verso un corrispettivo al di fuori delle prestazioni amatoriali di cui all’articolo 29”. Va evidenziato che, contrariamente a quanto oggi previsto dalla L. 91/1981, non viene più indicato come presupposto la continuità della prestazione per identificarla come “lavoro” ma solo la sua onerosità.

 

Non esiste, invece, una norma di collegamento rispetto a lavoratori già inquadrati come lavoratori subordinati o autonomi nelle mansioni indicate alla data di entrata in vigore del decreto.

 

Saranno attratti nella nuova disciplina (e, quindi, ad esempio potranno godere della decontribuzione totale o parziale inserita per il 2021 e il 2022 nella bozza di Legge di Bilancio 2021) o manterranno le regole oggi applicate? La riforma non tiene in minima considerazione i soggetti che già operano nel mondo dello sport in modo professionale. I non pochi tecnici che hanno già partita Iva potranno beneficiare delle agevolazioni previste dalla riforma (fiscalizzazione degli oneri previdenziali per i primi 2 anni e aliquote contributive ridotte) oppure assisteremo alla coesistenza di un doppio regime applicabile a soggetti che svolgono la medesima attività e hanno il medesimo inquadramento?

 

Si sottolinea come non si sia assolutamente tenuto conto dell’indicazioni presenti nella legge delega di privilegiare la specificità del mondo sportivo; si sono semplicemente innestate norme generali, civilistiche e lavoristiche, sul tessuto sportivo, senza assolutamente tenere conto delle indicazioni che non solo la giurisprudenza ma anche la prassi amministrativa (in materia vedi circolare n. 1/2016 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro) e la legislazione emergenziale con la qualificazione di lavoratori dei soggetti percettori di compensi sportivi avevano ormai dato per acquisite. Si era già formato un giudicato, anche da parte della stessa Suprema Corte di Cassazione, sulla “atipicità” del lavoro sportivo dilettantistico di cui non si è tenuto assolutamente conto.

 

Si è persa l’occasione per “tipizzare” il lavoro sportivo, in quanto è previsto che l’inquadramento del lavoratore debba rientrare nelle attuali ordinarie tipologie giuslavoristiche. Il lavoratore sportivo potrà assumere la qualifica di lavoratore dipendente, co.co.co. o lavoratore autonomo anche occasionale. Questo approccio rischia di essere foriero di contestazioni da parte degli organi ispettivi, nonché di rivendicazioni da parte dei lavoratori. Ad esempio gli atleti “professionisti” in caso di retrocessione al campionato dilettantistico potranno ricevere un inquadramento diverso da quello di lavoratori subordinati fino ad allora goduto?

 

Mentre oggi non vi è dubbio che, ad esempio in caso di retrocessione da un campionato professionistico a uno dilettantistico, muti proprio la natura giuridica del rapporto e, pertanto, il vecchio contratto professionistico si annulli, siamo così certi che avverrà anche domani, una volta che, appunto, si è delineata una unica figura di lavoro sportivo subordinato, sia per il settore professionistico sia dilettantistico? Il rischio è che in caso di retrocessione, a mio avviso, almeno sotto l’aspetto civilistico, rimangano in vita i “vecchi” contratti e i costi collegati. Idem, in caso di promozione. Potrebbe forse mutare solo il contratto collettivo di riferimento. Credo che questo sia un altro problema che andrebbe affrontato: l’atleta che nella precedente stagione era titolare di un contratto di lavoro subordinato, potrà cambiare inquadramento l’anno successivo? Temo di no facendo anche riferimento al noto principio della indisponibilità del rapporto di dipendenza statuito dalla Corte Costituzionale e ricordo che per tali rapporti non sono previste aliquote ridotte o di vantaggio. Questo perché il Legislatore ha individuato una unica fattispecie di lavoro sportivo subordinato, coniugato poi per il professionismo con una presunzione di subordinazione. La norma, poi, espressamente ricorda che: “ai rapporti di lavoro sportivo si applicano, in quanto compatibili, le norme di legge sui rapporti di lavoro nell’impresa, incluse quelle di carattere previdenziale e tributario”.

 

In questa direzione si muove anche la norma che individua, per i giovani, la possibilità di sottoscrivere contratti di apprendistato. Diventa onestamente difficile poter pensare che un giovane, dopo aver fatto l’apprendista, stipulando un nuovo contratto per le medesime attività e mansioni, possa non essere considerato come un lavoratore subordinato.

 

Per i pubblici dipendenti viene esclusa la possibilità di stipulare prestazioni di lavoro sportivo e viene riconosciuta loro solo la “strada” della prestazione amatoriale che sarà poi analizzata. Ma, prevedendosi che questa sarà tale solo fino alla soglia di corrispettivo di 10.000 euro, sembrerebbe che alle prestazioni sportive del pubblico dipendente potranno essere riconosciuti “rimborsi” solo fino a tale tetto. Questo, oggettivamente, potrà essere un problema per i numerosi atleti e tecnici appartenenti ai corpi sportivi militari e di Stato ai quali oggi come rimborso vengono riconosciute cifre di maggior rilievo.

 

Le eccezioni alla disciplina del rapporto di lavoro subordinato (ossia la non applicazione di una serie di norme essenzialmente presenti nello Statuto dei diritti dei lavoratori) già oggi presenti nella L. 91/1981 per i professionisti sono state estese anche ai lavoratori sportivi subordinati dilettanti.

 

Per il lavoro sportivo professionistico, ribadendo quanto già previsto dalla L. 91/1981, viene prevista, solo per gli atleti, la presunzione di rapporto di lavoro subordinato, salvo i 3 casi, già oggi esistenti, in cui per la bassa intensità del rapporto medesimo, questi sono individuati come collaborazioni coordinate e continuative. Con una novità i cui effetti dovranno essere approfonditi. Viene indicato che l’attività, oltre a essere continuativa, deve essere svolta come “attività principale”. Pertanto, un calciatore di serie C che svolga anche un’altra attività “potrebbe” non essere subordinato? Qualche approfondimento probabilmente appare opportuno.

 

Contrariamente alla giurisprudenza, anche della Suprema Corte, di segno contrario, viene considerato “lavoratore” anche il direttore di gara. Probabilmente in questo caso l’inquadramento dovrà essere quello della collaborazione coordinata e continuativa. Il costo a carico delle Federazioni, discipline associate e Enti di promozione sportiva non sarà trascurabile. Ma siamo proprio sicuri che la causa della prestazione arbitrale sia una causa di lavoro? L’eventuale inidoneità alla prestazione come potrà essere valutata? Sarà il giudice a dover valutare se la mancata designazione di un ufficiale di gara per un incontro costituisca trattamento discriminatorio del lavoratore?

 

L’articolo 29 disciplina le prestazioni “amatoriali”. In questo caso si applica a qualsiasi tipologia di attività in favore di un sodalizio dilettantistico. Diventano quelle per le quali l’inquadramento appare essere solo di carattere fiscale (ossia il combinato disposto di cui agli articoli 67 e 69, Tuir) in quanto: “sono incompatibili con qualsiasi forma di rapporto di lavoro, subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di lavoro con l’ente di cui il volontario è socio o associato o tramite il quale svolge la propria attività amatoriale”.

 

Da ciò ne deriva che gli importi che potranno essere riconosciuti non potranno derivare da un accordo di carattere negoziale ma dovranno essere unilateralmente determinati nella forma del rimborso spese forfettario o della indennità di trasferta o per “premi e compensi occasionali in relazione a risultati ottenuti nelle competizioni sportive”.

 

La novità, gravida di problemi, è che nel caso in cui l’amatore percepisca indennità “oltre la soglia di esenzione dei 10.000 euro” la sua prestazione si considererà di natura professionale per l’intero importo. Da qui nascerà la necessità ex post di riqualificare la prestazione e sanare i “ritardi” nei pagamenti delle ritenute previdenziali e fiscali. Chi pagherà le sanzioni per i ritardi e, più che altro, come si calcoleranno le ritenute (gli importi versati all’atleta saranno da considerarsi a questo punto lordi o netti? Se lordi l’atleta dovrà restituire le ritenute che nel frattempo ha incassato? Ove non lo faccia?).

 

Gli amatori dovranno essere assicurati contro i rischi di infortuni, malattie connesse allo svolgimento dell’attività amatoriale e per la responsabilità civile verso i terzi. Coperture più ampie (e quindi più onerose) rispetto a quelle oggi obbligatorie per i tesserati previste dall’articolo 51, L. 289/2002.

 

Dato per acclarata la prevalenza dei collaboratori sportivi dilettanti che percepiscono meno di 10.000 euro l’anno rispetto al complesso dei collaboratori sportivi, come sarà possibile distinguere un “amatore” a cui si riconosce un rimborso forfettario di 20 euro per ogni ora di lezione da un lavoratore a cui si riconosce lo stesso compenso? Il rischio è che il compito sia assunto dalla magistratura, così come è accaduto fino a oggi procedendo caso per caso e senza un criterio oggettivo che ne orienti le scelte.

 

In altri termini, permane una “zona grigia” rappresentata dalle attività sportive svolte a livello “amatoriale”, che potranno continuare a essere indennizzate attraverso rimborsi spese esenti, ove è facilmente prevedibile che in molti troveranno confortevole rifugio.

 

Novità previste per i controlli sanitari dei lavoratori sportivi. Se per gli amatori “dovrebbe” rimanere in vigore la vigente disciplina per la tutela sanitaria delle attività sportive, sia dilettantistiche sia professionistiche, l’articolo 32 dello schema di decreto “rivoluziona” i controlli sanitari dei lavoratori sportivi.

 

Intanto ne saranno coinvolti tutti i lavoratori (quindi non solo atleti ma anche tecnici, direttori sportivi e preparatori atletici). Per costoro dovrà essere prevista l’istituzione di una scheda sanitaria per tutti coloro che svolgono le prestazioni di carattere “non occasionale” (e mi piacerà capire chi sarà a stabilirlo) “nonché l’individuazione dei tempi per l’effettuazione delle rivalutazioni cliniche e diagnostiche in relazione alla tipologia dell’attività sportiva svolta e alla natura dei singoli esami da svolgere”.

 

Detta scheda sanitaria dovrà essere istituita, aggiornata e custodita a cura della Associazione o Società sportiva di appartenenza per i lavoratori dipendenti e dagli stessi sportivi per gli autonomi i quali debbono depositarne duplicato presso la Federazione o la disciplina associata (in questo caso non si capisce perché non siano indicati anche gli Enti di promozione sportiva). L’istituzione e l’aggiornamento della scheda “costituiscono condizione per l’autorizzazione da parte delle singole federazioni e discipline sportive associate allo svolgimento dell’attività dei lavoratori sportivi”. Siamo certi che le Federazioni sapranno gestire questa condizione preliminare?

 

Gli oneri per l’aggiornamento della scheda per i lavoratori subordinati grava sui club mentre per gli autonomi sul singolo sportivo. Anche in questo caso nulla viene detto su cosa accada nel caso le parti omettano di provvedere a detti aggiornamenti. Sarà la Federazione a sospenderne l’attività? E come facciamo con la tutela dei dati? Temo possa essere un grosso pasticcio.

 

Va anche ricordato che ai lavoratori sportivi (sia autonomi sia subordinati) si applicano le vigenti leggi in materia di sicurezza sul lavoro e che: “l’idoneità psico – fisica del lavoratore sportivo è certificata da un medico specialista in medicina dello sport sulla scorta di indagini strumentali”. 

 

Ma la novità è che è al suo esordio nel mondo dello sport anche il medico competente, il medico specializzato in medicina del lavoro. Se ne era già parlato nei protocolli anti Covid. Ora viene espressamente indicato che: “la sorveglianza sanitaria del lavoratore sportivo è compito del medico competente di cui all’articolo 2, comma 1, lettera h), D.Lgs. 81/2008”. Il riferimento solo al lavoratore porta a ritenere che la disposizione si applichi sia agli autonomi che ai subordinati

 

Altra new entry il “responsabile della protezione dei minori” all’interno di ogni Società e Associazione sportiva che avrà lo scopo: “della lotta a ogni tipo di abuso e di violenza su di essi e della protezione della integrità fisica e morale dei giovani sportivi”. Anche qui nulla viene detto sotto l’aspetto sanzionatorio.

 

In particolare sull’inquadramento dell’atleta degli sports di squadra

 

Fino a oggi la l. 91/81 sul professionismo sportivo in quanto norma che faceva eccezione a regole generali non era suscettibile di interpretazioni analogiche o estensive in virtù del richiamo di cui all’art. 14 delle preleggi al codice civile. Separando così nettamente la disciplina professionistica da quella dilettantistica. Nel momento in cui viene prevista oggi una unica tipologia di lavoro sportivo che può esplicarsi sia in forma professionistica che dilettantistica, nel momento in cui per la prima si prevede una presunzione di subordinazione, per il principio della indisponibilità del tipo contrattuale, in materia di rapporti di lavoro, assunta dalla Corte Costituzionale ne consegue che presumendo subordinata la prestazione dell’atleta professionista svolta come attività principale ovvero prevalente e continuativa diventa difficile giungere a diversa conclusione esaminando quella dell’atleta dilettante che si trova nelle medesime condizioni di svolgimento della prestazione.

 

Si ritiene che ben difficilmente gli indici indicati al terzo comma dell’art. 25 potrebbero far giungere a conclusioni diverse.

 

Viene previsto che la prima fascia di compenso fino a diecimila euro sia esente ai fini fiscali ma non previdenziali. Nulla viene esplicitato sul come si possano calcolare contributi previdenziali su un importo che non configuri reddito ai fini fiscali.

 

Diverse appaiono essere anche le gestioni previdenziali: quella del fondo pensioni lavoratori sportivi (ex enpals) per i professionisti (sia lavoratori autonomi che subordinati) e per i dilettanti con contratto di lavoro subordinato.

 

I lavoratori dilettanti autonomi, invece, si iscriveranno alla gestione separata Inps con tre aliquote contributive diverse a seconda che siano già titolari  di altra posizione previdenziale, che si tratti di prestazione occasionale o di cococo, che si tratti di prestazione di lavoro autonomo.

 

Questo significherà maggiori e diversi adempimenti a carico dei sodalizi sportivi che si troveranno ad avere lavoratori iscritti a gestioni previdenziali differenti.

 

In pratica, per il 2023 (quando verrebbe meno il contributo statale introdotto dalla legge di bilancio 2021) il lavoratore sportivo dilettante subordinato pagherà contributi previdenziali al 33% (salvo ulteriori aumenti), il cococo al 30% e il lavoratore autonomo al 22%. Avremo tutti i giocatori con partita iva?

 

La riforma, pertanto, dovendo applicarsi l’aliquota del 33% ai fini previdenziali e del 5,17 ai fini assistenziali produrrà un maggior carico per i club di circa il 40% del monte stipendi, rispetto ad oggi dove non venivano pagati contributi

 

In particolare sulla figura dell’amatore

 

Possono essere classificate come tali sia le figure tipizzate di lavoratore sportive che le “altre”.

 

 Potranno percepire premi e compensi occasionali e rimborsi spese forfettari e indennità di trasferta. In quest’ultimo caso si ritiene compatibile prevedere un emolumento per ogni prestazione resa (tipo pagamento ad ore effettivamente praticate o allenamenti o gare a cui si partecipa). Fino a quando l’importo da loro percepito resta sotto la soglia esente dei 10.000 euro si “dovrebbe” poter applicare l’art. 67 primo comma lett. m) purché, appunto, l’attività non abbia i connotati del lavoro autonomo o subordinato. Non è richiesta comunicazione al centro per l’impiego

 

Nel caso in cui si superasse tale limite le prestazioni sono da considerare “di natura professionale” per l’intero importo.

 

Tale fattispecie presenta comunque, a nostro avviso, delle criticità che si evidenziano nel caso in cui il percettore superasse nel periodo di imposta i diecimila euro:

 

•           quale tipo di inquadramento sarà possibile fare a posteriori (si ricorda l’obbligo di comunicazione preventiva per rapporti di lavoro subordinato o autonomo) nel caso in cui al termine del periodo di imposta il soggetto “amatore” avesse superato il tetto esente dei diecimila euro ?

•          si applica ai fini fiscali per la parte eccedente l’art. 25 l. 133 che non viene abrogato?

•          a chi spetta il versamento delle ritenute previdenziali e fiscali non versate?

•          a chi spetta l’onere in presenza di attivita’ svolta in favore di più soggetti sportivi ?

•           come distinguere per importi complessivi sotto i 10000 euro il lavoratore sportivo dall’amatore?

 

La definizione dei punti indicati appare essenziale sin dalla entrata in vigore della nuova disciplina

 

In particolare sulla figura degli amministrativo – gestionali

 

La nuova disciplina sinteticamente prevede  che siano a tutti gli effetti cococo (ma non per presunzione legislativa, pertanto attenzione ai rischi di lavoro subordinato). Fino ai 10.000 euro nessuna ritenuta fiscale e previdenziale, in caso di supero di detto limite, tutto l’emolumento è soggetto alla contribuzione previdenziale e fiscale prevista per detta fattispecie. Si ritiene che permanga l’obbligo di comunicazione al centro per l’impiego. Non si applica ai soggetti che prestano lavoro sportivo tipizzati.

 

Anche qui rimane il problema del cosa accade nel momento in cui ci si rendesse conto di aver superato la fascia esente (vedi il punto sugli amatori) e come distinguere un rapporto di lavoro subordinato da una collaborazione coordinata e continuativa a carattere amministrativo – gestionale

 

Provando a riassumere la disciplina sulle prestazioni sportive dilettantistiche

 

Lavoratori sportivi dilettanti: (atleta, allenatori, istruttori, direttore tecnico, direttore sportivo, preparatore atletico, direttore di gara): si applica l’articolo 36, comma 7 della bozza di decreto sul lavoro sportivo. Pertanto, indipendentemente dal tipo di inquadramento (lavoro subordinato, autonomo, occasionale, co.co.co) trova vigore esclusivamente ai fini fiscali “la soglia di esenzione di cui all’articolo 69 comma 2” del Tuir. Appare pertanto pacifico che per questi lavoratori sui primi 10.000 euro di compenso non ci sia carico fiscale (“non concorrono a formare il reddito”) ma si dovranno regolarmente pagare i contributi previdenziali. Sul come poi si possano calcolare sulla parte che non concorre a formare il reddito ci si augura che saranno fornite sollecite indicazioni.

 

Collaboratori amministrativo – gestionali: si applica l’articolo 37 che prevede che quando i compensi superano il citato limite dei 10.000 euro le “prestazioni sono considerate di natura professionale per l’intero importo”. Quindi, se capisco bene, saranno imponibili sia fiscalmente che previdenzialmente anche i primi 10.000 euro.

 

Amatori: si applica l’articolo 29. Anche per costoro nel caso di supero dei 10.000 euro di compensi le prestazioni: “sono considerate di natura professionale … per l’intero importo”. Pertanto, saranno imponibili sia fiscalmente sia previdenzialmente anche i primi 10.000 euro.

 

Pertanto:

15.000 euro di compenso ad atleti, istruttori o direttori sportivi:  imponibile fiscale per 5.000 euro (supero di 10.000) e previdenziale per 15.000

15.000 euro di compenso ad amministrativo – gestionali: soggetto a obblighi sia ai fini fiscali sia previdenziali per l’intero importo

15.000 euro di rimborsi spese forfettari ad amatori: soggetto a obblighi sia ai fini fiscali sia previdenziali per l’intero importo

10.000 euro di compenso ad atleti, istruttori o direttori sportivi: nessun obbligo fiscale ma soggetto a obblighi previdenziali sull’intero importo

10.000 euro di compenso ad amministrativo – gestionali: nessun obbligo di ritenute di natura fiscale o previdenziale

10.000 euro di rimborsi spese forfettari ad amatori: nessun obbligo di ritenute di natura fiscale o previdenziale

 

Infine, vengono riconosciute le professioni di chinesiologo di base, di quello sportivo e del manager dello sport per rispondere alla delega che imponeva il riconoscimento delle attività dei laureati in scienze motorie.

 

Purtroppo non essendo previste “esclusive” per le attività indicate si ritieni che pochi passi avanti abbiano fatto detti giovani laureati per un effettivo riconoscimento della loro professione.

 

Anche la previsione della loro presenza all’interno dei centri che organizzano corsi sportivi a pagamento è fortemente limitata alla equiparazione che lo stesso decreto, in analogia con quanto previsto dalla legislazione regionale in materia, compie con il tecnico diplomato da una Federazione o da un Ente di promozione sportiva.

 

E, comunque, da tale obbligo del laureato in scienze motorie sarebbero comunque esentate le attività sportive agonistiche e “le attività motorie a carattere ludico ricreativo non riferibili a discipline sportive riconosciute dal coni e dal cip tra cui il ballo e la danza nonché le attività relative a discipline riferibili a espressioni filosofiche dell’individuo che comportino attività motorie” (articolo 40, comma 4, lettera b) della nuova bozza di decreto sul lavoro sportivo).

 

In conclusione una piccola chiosa. L’art. 39 comma tre lett. a) fa riferimento a domande di contributi per l’anno 2020. Forse per una disposizione che entrerà in vigore nel 2021 c’è qualcosa che non quadra.

 

 


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