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L’opinione

La gestione delle risorse umane alla luce della riforma dello sport – quinta parte

20/12/2022 di Guido Martinelli

La definizione del rapporto di lavoro degli istruttori sportivi è quella che, nell’ambito di un centro sportivo, presenta le maggiori difficoltà qualificatorie.

 

Se per alcune tipologie di lavoro presenti nel centro sportivo (ad esempio gli addetti al ricevimento, alle manutenzioni, alle pulizie) sembra, con tutte le cautele del caso, potersi ritenere prevalente la configurazione del lavoro subordinato “ordinario, cioè non sportivo”, la figura professionale, dall’inquadramento più complesso, è sicuramente quella dell’istruttore.

 

Tant’è, ad esempio, che nell’ambito dei maestri di tennis esistono entrambe le figure: sia quella del maestro quale lavoratore autonomo che quale lavoratore subordinato.

 

Anche qui alcuni datati documenti di prassi amministrativa ci possono essere di aiuto. Il Ministero del Lavoro, con propria comunicazione del 16.07.1987 prot. n. 7/51364/OA-3, ed in particolare con la circolare n. 218 del 14.11.1996 si è espresso su tale materia cercando di individuare criteri uniformi per la valutazione della sussistenza, ai fini contributivi, di un rapporto di lavoro autonomo o subordinato tra i singoli docenti e i relativi istituti, applicabile come tale anche all’insegnamento sportivo.

 

Pertanto, dopo aver premesso la possibilità di costituire rapporti di natura professionale autonoma in relazione a particolari esigenze, il Ministero ha ritenuto che dovrà escludersi il carattere di subordinazione in presenza dei seguenti elementi obiettivi:

 

1) mancata imposizione al docente di un orario stabilito da parte della scuola;

2) compenso determinato in relazione alla professionalità ed alle singole prestazioni;

3) assenza di vincoli e di sanzioni disciplinari;

4) libera scelta, da parte del docente delle modalità tecniche per la trattazione degli argomenti;

5) volontà dei contraenti diretta ad escludere la subordinazione.

 

Detti criteri sono stati peraltro ribaditi dall’Inps, Direzione Centrale Contributi, con la circolare n. 210 del 28.10.1997, assumendo l’orientamento sopra riportato ed espresso dal Ministero del Lavoro.

 

È, pertanto, opportuno che al momento della conclusione di un accordo con un proprio istruttore sportivo i gestori dei circoli tengano nella giusta considerazione le osservazioni del Ministero.

 

Lo stesso Ministero, con propria lettera circolare n. 5/25576/70 sub AU del 06.04.1988, aveva affrontato l’argomento con specifico riferimento ai “maestri di discipline sportive ed animatori di villaggi turistici“.

 

Viene sottolineato come, nei casi in cui la fattispecie non consenta di identificare con certezza l’esistenza della subordinazione, soccorrano altri criteri, quali incidenza del rischio economico, oggetto della prestazione del lavoro dedotto nel rapporto, forma e modalità del corrispettivo; criteri questi che assumono solo un valore indiziario ed in tale senso dovranno essere valutati.

 

Il Ministero conclude sottolineando, conformemente a tutta la più recente Giurisprudenza, la necessità di evidenziare, in presenza di criteri paritetici tra rapporto di lavoro subordinato ed autonomo, quale sia stata la volontà contrattuale delle parti all’atto della instaurazione del rapporto.

 

Pertanto la dichiarazione di volontà delle parti in ordine al contenuto del rapporto non va considerata avulsa dal contesto interpretativo e deve tenersi conto del reciproco affidamento che essa crea tra le parti contraenti.

 

Il nomen iuris adottato dalle parti, pur non essendo decisivo, assume rilevanza quando lo schema contrattuale formalmente utilizzato non appaia incongruo rispetto alla realtà obiettiva e quando le modalità di svolgimento del rapporto, confermando la qualificazione data dalle parti, non contraddicano il tenore della volontà negoziale.

 

Ne consegue l’opportunità, ai fini probatori, che la conclusione dell’accordo con un istruttore, o collaboratore in genere, in specie se di natura autonoma, venga consacrata in un contratto scritto.

 

In tal caso, se le parti hanno esplicitamente dichiarato, nel regolare i reciproci interessi, di volere escludere l’elemento della subordinazione non si può pervenire ad una diversa qualificazione del rapporto stesso, se non si dimostra che in concreto la subordinazione si sia di fatto realizzata nello svolgimento del rapporto.

 

Individuato il primo passaggio logico, ove la conseguenza è che il lavoratore sportivo sia da considerare un lavoratore subordinato, ne discenderà l’applicazione dell’articolo 26 D.Lgs. 36/2021 che, sostanzialmente, amplia ai dilettanti la disciplina già prevista dalla L. 91/1981 per i professionisti.

 

Non troveranno applicazione alcuni istituti dello statuto dei diritti dei lavoratori, tra cui il noto articolo 18, espressamente elencati al primo comma.

 

I contributi previdenziali dei dilettanti dovranno essere versati al rinominato fondo pensione dei lavoratori sportivi, a cui accederanno i lavoratori professionisti, sia subordinati che autonomi, nonché i dilettanti subordinati.

 

Si ricorda che viene introdotta, per gli atleti, sia dilettanti che subordinati, la possibilità di stipulare contratti di apprendistato.

 

 

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La gestione delle risorse umane alla luce della riforma dello sport – quarta parte

15/12/2022 di Guido Martinelli

Esaminate, nell’ambito dei precedenti contributi, le due presunzioni esistenti per quanto riguarda il rapporto di lavoro professionistico e dilettantistico, occorre ora richiamare l’articolo 25, comma 5, D.Lgs. 36/2021, il quale ricorda che: “per tutto quanto non diversamente disciplinato dal presente decreto ai rapporti di lavoro sportivo si applicano, in quanto compatibili, le norme di legge sui rapporti di lavoro nell’impresa, incluse quelle di carattere previdenziale e tributario”.

 

Ne deriva che, per poter valutare come inquadrare il rapporto di lavoro dello sportivo, fuori dal recinto delle presunzioni già esaminate, l’unica differenza enunciabile a priori è quella prevista dal codice civile.

 

Relativamente ai collaboratori dell’imprenditore, l’articolo 2094 cod. civ. chiarisce che “è prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore“, mentre si concretizza, di fatto, la fattispecie del lavoro autonomo ai sensi degli articoli 2222 e segg. cod. civ. “Quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio con lavoro prevalentemente proprio e senza alcun vincolo di subordinazione nei confronti del committente …”.

 

L’oggetto dell’obbligazione del lavoratore autonomo è costituito dalla realizzazione di un risultato (opera o servizio) mediante l’attività organizzata e svolta dal lavoratore stesso in piena autonomia e a proprio rischio; nel rapporto di lavoro subordinato, invece, l’oggetto è dato dalla prestazione di energie lavorative che il dipendente pone a disposizione, come elemento inserito nell’organizzazione dell’impresa, secondo le direttive e sotto la vigilanza del datore di lavoro.

 

È facile osservare come la distinzione codicistica non riesca tuttavia a risolvere il problema qualificatorio di una nutrita serie di rapporti di lavoro che presentano i caratteri sia dell’una che dell’altra categoria, come accade nel mondo dello sport.

 

Sul punto appare possibile individuare un criterio discriminatorio principale e alcuni sussidiari.

 

L’elemento principale di distinzione è dato dal fatto che il lavoratore subordinato è sottoposto ad un vincolo di assoggettamento gerarchico a cui è correlato il potere del datore di lavoro di imporre direttive sia generali sia inerenti alle modalità di svolgimento della singola prestazione. La subordinazione ha carattere personale e comporta l’assoggettamento del lavoratore, con limitazione della sua libertà, al potere direttivo del datore di lavoro.

 

Si ritengono invece criteri sussidiari per la determinazione del rapporto di lavoro subordinato i seguenti:

  • l’oggetto delle prestazioni è costituito dalle prestazioni lavorative spese in favore della parte che ne beneficia;
  • l’inserzione dell’attività lavorativa nell’organizzazione dell’impresa;
  • l’utilizzo di strumenti procurati dal datore di lavoro;
  • lo svolgimento di un’attività continuativa;
  • l’assenza di rischio a carico del lavoratore legato alle congiunture economiche e di autonomia dell’attività svolta;
  • la predeterminazione, da parte datoriale, delle modalità di espletamento del rapporto, l’inserimento gerarchico nell’azienda e la sottoposizione a controlli in relazione all’esatto adempimento delle prestazioni dovute;
  • predeterminazione della retribuzione.

 

Il concetto di sussidiario significa che la presenza isolata di uno o più di tali criteri non necessariamente è sufficiente a configurare un rapporto subordinato.

 

Infatti, la Giurisprudenza ha ripetutamente affermato che gli altri elementi sopra identificati possono essere compatibili sia con il lavoro autonomo che con il lavoro subordinato, per cui possono avere un rilievo distintivo solo complementare e sussidiario.

 

Elemento caratterizzante, quindi, il rapporto diventa, oltre alle concrete modalità di svolgimento della prestazione, l’individuazione di quale sia stata la comune volontà delle parti al momento della conclusione dell’accordo lavorativo.

 

Nei casi in cui l’applicazione di tali regole astratte non riesca a risolvere il problema qualificatorio, la Giurisprudenza ha ricercato, inoltre, nella concreta attività svolta dal lavoratore determinati indizi e sintomi che, complessivamente valutati, possano indicare, in via presuntiva, la sussistenza di un rapporto di lavoro autonomo o subordinato.

 

Una serie di datati documenti di prassi amministrativa (circolare Inps n. 108 del 06.06.2000 e n. 58 del 12.03.1997) richiamano i criteri di valutazione per rilevare l’autonomia del rapporto, individuandoli nei seguenti:

  • la mancata imposizione al lavoratore di un orario prestabilito da parte del committente;
  • il compenso determinato in relazione alla professionalità e alle singole prestazioni;
  • l’assenza di vincoli e sanzioni disciplinari;
  • la libera scelta delle modalità di effettuazione della prestazione;
  • la volontà dei contraenti diretta ad escludere la subordinazione.

 

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La gestione delle risorse umane alla luce della riforma dello sport – terza parte

13/12/2022 di Guido Martinelli

L’articolo 25 del novellato D.Lgs. 36/2021, chiarisce, recependo una indicazione già contenuta nella legge delega, che la disciplina del lavoro sportivo deve tener conto del “principio di specificità dello sport”.

 

Verificati i presupposti, l’attività di lavoro sportivo (sia professionistico che dilettantistico) può costituire oggetto “di un rapporto di lavoro subordinato o di un rapporto di lavoro autonomo anche nella forma di collaborazioni coordinate e continuative ai sensi dell’articolo 409, comma 1 n. 3 del codice di procedura civile”.

 

I recenti insegnamenti della Suprema Corte di Cassazione (Corte di Cassazione, sentenza n. 29973 del 13.10.2022) hanno ribadito che: ” … al legislatore è precluso il potere di qualificare un rapporto di lavoro in termini dissonanti rispetto alla sua effettiva natura e di sottrarlo così allo statuto protettivo che alla subordinazione si accompagna (Corte cost. sentenze n. 76 del 2015, n. 115 del 1994 e n. 121 del 1993).” Ne deriva, quale conseguenza ineludibile “l’indisponibilità del tipo negoziale sia da parte del legislatore, sia da parte dei contraenti individuali (sentenza n. 76 del 2015 cit. punto 8 del considerato in diritto)”

 

Pertanto appariva impraticabile al legislatore la strada di tipizzare ex lege la prestazione di lavoro sportivo. Ciò nonostante, proprio avvalendosi del principio di specificità, il decreto in esame presume che il rapporto di lavoro dell’atleta professionista sia di natura subordinata mentre sia inquadrabile come collaborazione coordinata e continuativa quello dello sportivo dilettante quando ricorrono i seguenti requisiti nei confronti del medesimo committente:

 

a) la durata delle prestazioni oggetto del contratto, pur avendo carattere continuativo, non supera le diciotto ore settimanali, escluso il tempo dedicato alla partecipazione a manifestazioni sportive;

b) le prestazioni oggetto del contratto risultano coordinate sotto il profilo tecnico-sportivo, in osservanza dei regolamenti delle Federazioni Sportive Nazionali, delle Discipline Sportive Associate e degli Enti di Promozione Sportiva”.

 

La scelta di mantenere la presunzione di rapporto di lavoro subordinato per l’atleta professionista, sul presupposto della unicità della prestazione, sia se svolta in settore professionistico che dilettantistico (vedi anche articolo 5 L. 86/2019) crea delle oggettive ripercussioni anche nell’inquadramento dell’atleta dilettante.

 

Infatti, se vigente la L. 91/1981 questa si poteva ritenere disciplina speciale e, come tale, insuscettibile di interpretazione analogica ai sensi di quanto previsto dall’articolo 14 delle preleggi al codice civile, a medesima conclusione non si potrà giungere oggi che la figura di lavoratore è unica “indipendentemente dalla natura dilettantistica o professionistica dell’attività sportiva svolta”.

 

Appare, pertanto, quanto mai opportuna, al fine di evitare una indiscriminata applicazione della fattispecie del lavoro subordinato a tutti i lavoratori sportivi atleti, la omologa presunzione di rapporto di collaborazione coordinata e continuativa per i lavoratori sportivi dilettanti sopra ricordata prevista dal comma 2 dell’articolo 28 del decreto.

 

La ratio appare la medesima già presente prima nella L. 91/1981 e poi ora nel D.Lgs. 36/2021 per quanto riguarda il professionismo.

 

La distinzione tra autonomia e subordinazione del rapporto non viene legata al noto principio della eterodirezione quanto a quello della intensità del rapporto. Ossia, così come per il mondo professionistico una prestazione che abbia una durata settimanale non superiore alle otto ore settimanali, anche per gli atleti si intende di natura autonoma, altrettanto, con le dovute differenze legate alla diversa natura del dilettantismo, la prestazione si intende autonoma, nella forma della collaborazione coordinata e continuativa, se e ove non superasse le diciotto ore settimanali, al netto del tempo necessario per la eventuale prestazione agonistica.

 

Ci si chiede come si dovrà effettuare detto conteggio. Intanto, si premette, si sta ragionando di presunzioni relative, pertanto essenzialmente di onere della prova. Sarà pertanto onere di chi ritenesse che detto limite sia stato superato o che comunque la prestazione debba essere diversamente classificata che avrà l’onere di doverlo provare.

 

La ratio della legge ad avviso di chi scrive porta a sostenere che il tetto debba essere letto come media da calcolarsi sulla base della intera durata del contratto.

 

Deve ovviamente trattarsi di una prestazione di “profilo tecnico sportivo in osservanza dei regolamenti” previsti dall’ente affiliante.

 

Interessante appare la possibilità di “certificare” i contratti di lavoro, certificazione che potrà avvenire sulla base di indici concordati in sede di contratto collettivo tra gli enti affilianti e le organizzazioni più rappresentative dei lavoratori o, in assenza di questi, tramite indici individuati con decreto governativo.

 

La necessità di un corretto inquadramento delle prestazioni di lavoro sportivo passa attraverso la redazione di contratti scritti, previsti come obbligatori solo per le prestazioni di lavoro subordinato.

 

 

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La gestione delle risorse umane alla luce della riforma dello sport – seconda parte

07/12/2022 di Guido Martinelli

In questo secondo contributo ci concentriamo sulla figura dei collaboratori retribuiti.

 

Dobbiamo innanzitutto evidenziare l’abrogazione della disciplina fino ad oggi maggiormente utilizzata, ossia quella recata dall’articolo 67, comma 1, lett. m), Tuir che, collocando tra i redditi diversi il compenso degli sportivi dilettanti, lo rendeva non soggetto a contribuzione previdenziale ed assistenziale. Spariscono, quindi, i famosi “diecimila euro” esenti con i quali lo sport italiano ha convissuto per vent’anni.

 

Pertanto, ora, tutti i soggetti ai quali l’associazione o società sportiva dilettantistica riconosce un compenso per l’attività svolta in loro favore dovranno essere suddivisi in quattro grandi macrocategorie:

 

  1. i lavoratori sportivi (che potranno operare sia nel settore professionistico che dilettantistico)
  2. i collaboratori coordinati e continuativi di natura amministrativa-gestionale
  3. gli amministratori
  4. gli addetti agli impianti sportivi e i professionisti non sportivi
  5. La categoria di lavoratori sportivi è tipizzata: sono tali solo atleti, allenatori, istruttori, direttori tecnici, direttori sportivi, preparatori atletici e direttori di gara.

 

L’articolo 2 del decreto, che contiene le definizioni, inquadra solo il direttore di gara, quello sportivo e quello tecnico. L’articolo 17 rubrica “tecnici e dirigenti sportivi” ma la lettura della norma non aiuta a meglio definire la figura degli istruttori.

 

Si ritiene che possano essere considerati tali esclusivamente i tecnici che abbiano i requisiti previsti dall’ente affiliante per lo svolgimento di attività didattica e siano allo stesso tesserati.

 

I contenuti delle definizioni di settore professionistico (“il settore qualificato come professionistico dalla rispettiva Federazione sportiva nazionale o disciplina sportiva associata”) o dilettantistico (“il settore di una Federazione sportiva nazionale o disciplina sportiva associata non qualificato come professionistico”) porta ad affermare che la disciplina sul lavoro sportivo in esame trova applicazione solo nell’ambito di soggetti affiliati o tesserati da una Federazione o disciplina sportiva associata. Ne deriva che la prestazione d’opera dell’istruttore di nuoto o di tennis che svolge la sua attività per un ente non iscritto al Registro delle attività sportive dovrà essere inquadrato secondo le norme generali sui rapporti di lavoro.

 

Sono inoltre definiti come lavoratori i tesserati (per una Federazione, disciplina sportiva associata o ente di promozione sportiva) che svolgono: “verso un corrispettivo le mansioni rientranti, sulla base dei regolamenti dei singoli enti affilianti, tra quelle necessarie per lo svolgimento di attività sportiva”.

 

Già quando fu pubblicata la circolare 1/2016 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro sui criteri di applicazione dei compensi sportivi come redditi diversi, le Federazioni adottarono delibere di riconoscimento di specifiche attività da far rientrare nel perimetro di applicazione della norma.

 

Va chiarito, però, che l’espressione usata nel documento di prassi amministrativa (“che il soggetto percettore svolga mansioni rientranti, sulla base dei regolamenti e delle indicazioni fornite dalle singole federazioni, tra quelle necessarie per lo svolgimento delle attività sportivo-dilettantistiche, così come regolamentate dalle singole federazioni”) dava agli enti affilianti una autonomia nella determinazione delle categorie di soggetti destinatari del regime agevolato più ampia di quella fornita oggi dalla norma in esame. Si ritiene, pertanto, che le Federazioni dovranno adottare criteri rigidamente ancorati alle funzioni e ai compiti previsti dai regolamenti federali non potendo più fornire “indicazioni” nella scelta dei soggetti che potranno rientrare nella definizione di lavoratori sportivi.

 

Novità di rilievo, rispetto alla pregressa disciplina è l’obbligo, per i pubblici dipendenti che assumano anche il ruolo di lavoratori sportivi, di essere espressamente autorizzati dalla amministrazione di appartenenza allo svolgimento delle attività sportive a titolo oneroso.

 

Ricorrendone i presupposti l’attività di lavoro sportivo può costituire oggetti di un rapporto di lavoro subordinato o autonomo. In questo ultimo caso potrà configurarsi come esercizio di arti o professioni o come collaborazione coordinata e continuativa.

 

Si è ritenuto di eliminare la possibilità di prestazioni occasionali in quanto la necessità di un tesseramento e di una preparazione specifica porterebbe ad escludere che una prestazione di lavoro sportivo possa considerarsi di carattere occasionale.

 

Viene prevista la possibilità che “gli accordi collettivi stipulati dalle Federazioni sportive nazionali, dalle discipline sportive associate e dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale della categoria dei lavoratori interessati” forniscano indici ai fini della certificazione dei contratti di lavoro.

 

Il tema sarà come individuare le organizzazioni dei lavoratori interessati: si dovrà fare una valutazione orizzontale relativa a tutte le discipline o focalizzata solo sulla disciplina in esame. Si auspica che la prassi amministrativa chiarisca anche questo aspetto.

 

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La gestione delle risorse umane alla luce della riforma dello sport – prima parte

05/12/2022 di Guido Martinelli

In attesa della conferma o meno della vigenza, a far data dal prossimo 1° gennaio, della riforma del lavoro sportivo dilettantistico (articolo 25 e ss. D.Lgs. 36/2021 e succ. mod.), proviamo a ipotizzare le varie forme di inquadramento dei prestatori d’opera alla luce delle nuove disposizioni.

 

I “volontari” sono disciplinati dall’articolo 29 del decreto e sono ritenuti tali coloro i quali mettono a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere lo sport, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ma esclusivamente con finalità amatoriali.

 

Dette prestazioni non possono essere retribuite in alcun modo.

 

Potranno essere rimborsate esclusivamente le spese documentate relative al vitto, all’alloggio, al viaggio e al trasporto sostenute in occasione di prestazioni effettuate fuori dal territorio comunale di residenza del percipiente.

 

Ne deriva che ai volontari sportivi, al contrario di quanto l’articolo 17 del codice del terzo settore prevede per i volontari degli enti iscritti al Runts, non potranno essere riconosciuti i rimborsi spese autocertificati fino all’ammontare massimo di 10 euro giornalieri e 150 mensili, nonché le indennità (nell’importo di euro 46,48) di cui all’articolo 51, comma 5, Tuir.

 

Diventa opportuno condividere una lettera di incarico che contenga sia le motivazioni dell’impegno gratuito (al fine di evitare, stante la presunzione di onerosità della prestazione lavorativa, possibili future pretese economiche) sia il luogo di residenza del volontario che quello di svolgimento della prestazione al fine di giustificare il riconoscimento del rimborso spese vive di trasferta.

 

Si ritiene che possa essere considerato tale il riconoscimento di una indennità chilometrica parametrata ai costi della autovettura utilizzata sulla base delle tabelle che l’Aci pubblica a tale fine.

 

Gli enti dilettantistici che si avvalgono di volontari devono assicurarli per la responsabilità civile verso i terzi. La copertura dovrà avvenire secondo le modalità previste dal decreto disciplinato dall’articolo 18, comma 2, del codice del terzo settore.

 

volontari non necessariamente sono identificati negli associati. Potremmo, infatti, avere degli associati che non operano all’interno e in favore del loro sodalizio sportivo.

 

Si ritiene, invece, che un tesserato, ove presti la propria opera a titolo gratuito, necessariamente debba essere considerato un volontario.

 

Ne deriva che appare auspicabile che la copertura per la responsabilità civile sia inserita tra le garanzie assicurative collegate con il tesseramento ad una FSN/DSA/EPS disciplinate dall’articolo 51 L. 289/2002.

Ove ciò non accadesse si ritiene vi possa essere responsabilità degli amministratori in caso di mancata indicazione dei volontari e conseguente mancata loro copertura assicurativa.

 

Non vi è alcun obbligo, per le sportive non iscritte al Runts, di adozione del registro dei volontari vidimato. Ciò non significa che non possa essere opportuna la sua adozione, magari senza procedere alla vidimazione invece richiesta per gli enti del terzo settore.

 

Si ritiene che un “lavoratore sportivo” titolare di un contratto di lavoro, ad esempio, con una sportiva, possa, poi, svolgere una attività sportiva di volontariato in favore della Federazione sportiva di appartenenza.

 

I volontari che siano anche pubblici dipendenti ne dovranno dare mera comunicazione alla amministrazione di appartenenza.

 

Sarà possibile riconoscere, anche ai volontari “tesserati in qualità di atleti e tecnici” i premi per i risultati ottenuti nelle competizioni sportive previsti dal comma 6 quater dell’articolo 36 del decreto. Infatti detti premi non hanno natura negoziale (bisogna pertanto distinguerli da una retribuzione legata ai risultati) ma costituiscono atto unilaterale di erogazione legato all’alea di un risultato raggiunto. Possono essere erogati anche in occasione di raduni o partecipazioni ad attività di squadre nazionali.

 

Si applica, in tal caso, la disciplina di cui all’articolo 30 D.P.R. 600/1973, che prevede una ritenuta a titolo di imposta del 20% a rivalsa facoltativa.

 

Fatto 100 il valore del premio (che potrà essere anche in natura e, in tal caso, si farà riferimento al controvalore commerciale del bene) chi lo eroga potrà liberamente determinare se accollarsi la ritenuta dando 100 di premio al vincitore e pagando 20 all’Erario, oppure versare 80 agli sportivi e 20 al Fisco. L’importo, ovviamente, essendo tassato alla fonte non si cumula con gli altri redditi del percettore.

 

Le prestazioni sportive di volontariato sono incompatibili con qualsiasi forma di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di lavoro retribuito con l’ente di cui il volontario è socio o associato o tramite il quale svolge la propria attività sportiva.

 

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Approvato il decreto correttivo alla riforma dello sport

29/09/2022 di Guido Martinelli

Ieri il Consiglio dei Ministri ha approvato in via definitiva (resta solo da attendere la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale) il decreto correttivo al D.Lgs. 36/2021 (pubblicato sulla G.U. n. 67 del 18.03.2021) in materia di riordino e riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici nonché di lavoro sportivo.

 

Il decreto incide in maniera molto parziale sulla disciplina del lavoro professionistico, prevedendo esclusivamente una serie di agevolazioni sia in tema di apprendistato, sia di agevolazioni fiscali per l’avviamento al lavoro dei giovani atleti professionisti nei club che abbiano un limitato volume d’affari.

 

Le novità maggiori si registrano sicuramente nel mondo dilettantistico che continua ad essere identificato, per differenza, come quello “non professionistico”.

 

L’aspetto civilistico di maggior rilievo è previsto dall’articolo 1, che integra l’articolo 6, comma 1, D.Lgs. 36/2021, in tema di forma giuridica degli enti sportivi dilettantistici, escludendo le società di persone e aggiungendo, all’elenco ivi previsto, le cooperative di cui al titolo VI del libro V del codice civile (lett. c) nonché gli enti del terzo settore costituiti ai sensi dell’articolo 4, comma 1, D.Lgs. 117/2017, iscritti al Registro unico nazionale del terzo settore e che, laddove esercenti, come attività di interesse generale, l’organizzazione e la gestione di attività sportive dilettantistiche, possono iscriversi al Registro delle attività sportive dilettantistiche (lett. c-bis).

 

L’articolo 1 aggiunge, con il novellato comma 2 dell’articolo 6, che agli enti del terzo settore si applicano le norme del D.Lgs. 36/2021 limitatamente all’attività sportiva dilettantistica esercitata e, relativamente alle disposizioni del Capo I del decreto medesimo, solo in quanto compatibili con il D.Lgs. 117/2017, e, per le imprese sociali, con il D.Lgs.112/2017.

 

Con questi interventi il decreto correttivo rende perfettamente compatibile la riforma dello sport con quella del terzo settore.

 

La disciplina lavoristica è invece contenuta nell’articolo 13, che interviene sull’articolo 25 D.Lgs. 36/2021, che ha ad oggetto la definizione del lavoratore sportivo e la disciplina dell’attività di lavoro sportivo.

 

Alla lettera a) viene integrato il comma 1 dell’articolo 25 perché l’elenco di figure che attualmente contiene – atleta, allenatore, istruttore, direttore tecnico, direttore sportivo, preparatore atletico, direttore di gara – non potevano considerarsi esaustive delle figure di lavoratore sportivo. Il decreto correttivo precisa che è lavoratore sportivo anche il tesserato che svolge, verso corrispettivo, le mansioni rientranti, sulla base dei regolamenti dei singoli enti affilianti, tra quelle necessarie per lo svolgimento di attività sportiva, con esclusione delle mansioni di carattere amministrativo-gestionale.

 

Alle figure qui indicate, alle quali si aggiungono le prestazioni di carattere amministrativo – gestionale, si applicano le nuove norme sul lavoro sportivo. Le altre prestazioni (tipo custodia, pulizia, manutenzione) saranno soggette, invece, alla disciplina generale dei rapporti di lavoro.

 

La novella torna a rendere applicabile al lavoro sportivo l’articolo 2, comma 2, lettera d), D.Lgs. 81/2015, che esclude la presunzione dell’applicazione delle norme sul rapporto di lavoro subordinato alle collaborazioni organizzate dal committente con riferimento ad associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle Federazioni Sportive Nazionali, alle Discipline Sportive Associate e agli Enti di Promozione Sportiva. Si consente, pertanto, la configurabilità di rapporti di lavoro autonomo sportivo anche nella forma di collaborazioni coordinate e continuative organizzate dal committente.

 

Analogamente, sono presunte come collaborazioni coordinate e continuative le prestazioni sportive che prevedono un impegno non superiore alle 18 ore settimanali di allenamento, al netto della prestazione agonistica.

 

Scompaiono quindi le figure degli amatori e la possibilità di riconoscere compensi ex articolo 67, comma 1, lett. m), Tuir.

 

volontari risultano essere coloro i quali non percepiscono compensi, fatto salvo il rimborso a piè di lista delle spese vive sostenute.

 

Ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni che prestano la propria attività a favore di società e associazioni dilettantistiche fuori dagli orari di lavoro, si applica il regime previsto per le prestazioni sportive dei volontari, ferma la necessità di preventiva comunicazione all’amministrazione di appartenenza. Se si intenda retribuire la loro attività è richiesta l’autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza e si applica, se viene concessa, la disciplina prevista al comma 6 dell’articolo 36: esenzione totale per compensi da 0 a 5.000,00 euro ed esenzione solo fiscale per compensi da 5.001,00 a 15.000,00 euro.

 

La citata disciplina, sia ai fini fiscali che previdenziali è quella che sarà applicata a tutti i lavoratori sportivi autonomi. Per i primi cinque anni i contributi previdenziali saranno calcolati solo sul 50 per cento dei compensi per lavoro sportivo.

 

 

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Lo sport e l’Iva: rapporto controverso

02/09/2022 di Guido Martinelli

L’Agenzia delle Entrate, modificando un precedente orientamento favorevole, con la nota n. 393/2022 esclude l’applicazione dell’articolo 10, n. 20, D.P.R. 633/1972 rubricato “Operazioni esenti dall’imposta” ai fini Iva, ai corsi di nuoto, anche se indirizzati all’infanzia.

 

La linea restrittiva del documento di prassi amministrativa rappresenta la trasposizione “euro-orientata” dell’interpretazione della Corte di Giustizia Europea in relazione all’articolo 132, paragrafo 2, lettera i), Direttiva 2006/112/Ce.

 

Infatti, l’articolo 132, lettera i), Direttiva 2006/112/Ce, annovera l’educazione dell’infanzia o della gioventù nonché la formazione, riqualificazione professionale e tutte le prestazioni di servizi o cessioni di beni strettamente connessi, tra le operazioni esenti, purché erogate da Enti di diritto pubblico od organismi riconosciuti dallo Stato.

 

Detta esenzione, dunque, richiede la convivenza di due requisiti:

  • l’uno di carattere soggettivo, ossia che detti servizi vengano erogati da istituti o scuole riconosciuti da pubbliche amministrazioni,
  • l’altro oggettivo, ossia relativo la formazione, l’educazione, l’aggiornamento, la riqualificazione, la riconversione professionale.

 

Orbene, al pari delle lezioni di guida erogate da una scuola guida o delle lezioni di vela, anche i corsi di nuoto organizzati da una Associazione sportivo dilettantistica senza scopo di lucro difettano del requisito oggettivo che osta la loro qualifica di servizi di insegnamento scolastico o universitario, formazione o riqualificazione professionale, stante il loro scopo meramente ricreativo e sportivo.

 

In tal senso, vedasi la sentenza della Corte di Giustizia Europea resa nel 2021 nella causa C-373/19, che esclude espressamente, dalla locuzione “insegnamento scolastico o universitario” i corsi di nuoto impartiti da un ente sportivo.

 

Detta interpretazione restrittiva è coerente con la natura eccezionale delle ipotesi di esenzione indicate nella Direttiva, e con la ratio di armonizzazione della normativa “euro-unitaria” onde agevolare il mercato rendendolo immune da eventuali distorsioni interne.

 

Irrilevante, dunque, la sussistenza del solo requisito soggettivo che sussiste in capo alla Asd, del riconoscimento ottenuto dalla Federazione Italiana Nuoto e la relativa licenza di esercizio di scuola di nuoto federale.

 

Va anche ricordato che i precedenti documenti di prassi amministrativi, che giungevano alla conclusione opposta, erano nati nel periodo in cui le Federazioni, quali organi del Coni, svolgevano a tutti gli effetti una funzione pubblica.

 

La loro attuale natura di associazioni di diritto privato con personalità giuridica, sia pure con alcune funzioni di carattere pubblico elencate nello statuto del Coni, fa perdere un altro dei requisiti per l’utilizzo della agevolazione.

 

Secondo l’iter ermeneutico della nota in commento, pertanto, i corsi di nuoto organizzati da una Associazione sportiva dilettantistica non beneficiano dell’esenzione ex articolo 132, lettera i), Direttiva 2006/112/Ce e quindi ex articolo 10, n. 20, D.P.R. 633/1972, poiché non rappresentano “prestazioni educative dell’infanzia e della gioventù e quelle didattiche di ogni genere” e come tali difettano del requisito oggettivo.

 

A nulla rileva che i corsi stessi fossero indirizzati prevalentemente a fanciulli.

 

Di conseguenza, secondo l’Amministrazione, alle prestazioni sportivo-ricreative si applica l’aliquota ordinaria del 22%.

 

Ad analoga conclusione si dovrà giungere nei confronti delle società sportive di capitale dilettantistiche

 

Due ulteriori riflessioni, forse utili.

 

Attualmente, nella maggior parte dei casi, le prestazioni sportive rese da Asd/Ssd in favore dei propri associati/partecipanti/iscritti, sono collocate fuori campo Iva in ogni caso, ai sensi dell’articolo 4.4 e 4.8. D.P.R. 633/1972.

 

Pertanto il nuovo indirizzo assunto dalla Agenzia delle entrate ha un effetto solo parziale nei confronti del mondo dello sport.

 

Detta situazione permane fino al 31 Dicembre 2023.

 

Da gennaio 2024, tuttavia, le prestazioni rese dalle sportive dietro corrispettivo (sino ad oggi considerate escluse a fini Iva), assumeranno la qualifica di operazioni esenti ai fini Iva, con tutte le dovute conseguenze in termini di adempimenti (articolo 1, comma 638, L. 234/2021 ed articolo 5, commi da 15 quater a 15 sexies, D.L. 146/2021) e non riguarderà più solo gli associati o i tesserati, ma tutti i soggetti che partecipano ai corsi (“le prestazioni di servizi strettamente connesse con la pratica dello sport o dell’educazione fisica rese da associazioni sportive dilettantistiche alle persone che esercitano lo sport o l’educazione fisica”). Pertanto ai fini del godimento della esenzione non sarà più necessario tesserare i partecipanti ai corsi.

 

Il beneficio decade, però, nel caso in cui possa “provocare distorsioni della concorrenza a danno delle imprese commerciali soggette all’Iva”.

 

La condizione di accesso al beneficio de quo, inoltre, è vincolata al rispetto del divieto di distribuzione, anche indiretta, di utili o avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell’associazione, salvo i casi di legge, previo obbligo di conformare gli statuti alle clausole dettagliate nell’articolo 10, comma 5, D.P.R. 633/1972.

 

Ad ogni buon conto, un’ulteriore soluzione potrebbe prospettarsi entro il 31 Dicembre 2024: il neo allegato III alla Direttiva 2006/112/CE contempla, nel paniere delle possibili aliquote Iva ridotte, anche le cessioni di beni/prestazioni di servizi sportivi, riconoscendo allo Stato un margine di discrezionalità nel concedere le agevolazioni ai fini Iva.

 

Un futuro con aliquota Iva al 5%. Lo auguriamo.

 

di Biagio Giancola, Guido Martinelli

 

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Le Ssd alla luce della riforma dello sport

27/06/2022 di Guido Martinelli

l D.Lgs. 36/2021, pubblicato nella G.U. n. 67 del 18.03.2021, i cui effetti decorreranno dal prossimo 1° gennaio, innova in maniera decisiva la disciplina delle società di capitali sportive dilettantistiche fino ad oggi disciplinate dall’articolo 90 L. 289/2002, che sarà abrogato con il dispiegarsi degli effetti del nuovo decreto.

 

Mentre la possibilità di costituire società sportive di persone, prevista oggi nel testo ufficiale, sarà probabilmente eliminata con l’entrata in vigore di un decreto correttivo attualmente in fase di approvazione (secondo le prime indiscrezioni), le novità maggiormente caratterizzanti la nuova società sportiva di capitali, previste in particolare ai commi 3 e 4 dell’articolo 8, risulteranno confermate anche dalla novella di imminente diffusione.

 

Creando un parallelo uniforme con quanto già riportato all’articolo 3, comma 3, D.Lgs. 112/2017 in materia di impresa sociale, viene prevista, per le Ssd, la possibilità di destinare una quota inferiore al cinquanta per cento degli utili “e degli avanzi di gestione annuali, dedotte eventuali perdite maturate negli esercizi precedenti”:

 

  1. ad aumento gratuito del capitale sottoscritto e versato dai soci nei limiti dell’indice Istat di incremento dei prezzi al consumo nell’esercizio sociale in cui gli utili sono stati prodotti
  2. alla distribuzione, anche attraverso l’emissione di strumenti finanziari, di dividendi ai soci in misura comunque non superiore all’interesse massimo dei buoni postali fruttiferi aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato.

 

Viene inoltre riconosciuta la possibilità del rimborso al socio del capitale effettivamente versato ed eventualmente rivalutato o aumentato nei limiti sopra indicati.

 

Si conferma in via legislativa quanto l’Agenzia delle entrate, in via interpretativa, aveva già indicato nella propria circolare 18/2018, ossia che per le Ssd valgono esclusivamente le previsioni del codice civile e, pertanto, diversamente dalle associazioni, non le stesse non sono tenute al rispetto statutario dei principi di democrazia e di uguaglianza di diritti tra tutti gli associati.

 

È comunque previsto (articolo 7, comma 1, lett. b) che l’oggetto sociale faccia specifico riferimento all’esercizio “in via stabile e principale dell’organizzazione e gestione di attività sportive dilettantistiche, ivi compresa la formazione, la didattica, la preparazione e l’assistenza alla attività sportiva dilettantistica”.

 

Eventuali attività diverse (articolo 9) potranno essere esercitate soltanto a condizione che lo statuto lo consenta e che abbiano carattere secondario e strumentale rispetto alle attività istituzionali e siano alle stesse strettamente connesse nei limiti di un emanando decreto interministeriale (ricordiamo che analogo principio vige nella riforma del Terzo settore e in quell’ambito il decreto, già emanato, prevede che i proventi da attività diverse non possano essere superiori al trenta per cento dei ricavi complessivi dell’ente o al sessantasei per cento dei costi).

 

Preoccupa l’indicazione, presente già nella rubrica dell’articolo, che detti proventi debbano essere secondari e strumentali nonché il rapporto di connessione che viene indicato come obbligatorio dalla norma.

 

Ci si augura che questa previsione non escluda proventi palesemente non connessi (si pensi ad esempio ad una Ssd che gestisca una palestra con un reparto di estetica) e che la linea di confine tra le attività “diverse” consentite e le attività “diverse” non consentite sia tracciata in termini esclusivamente quantitativi.

 

Appare necessario verificare un altro passaggio. L’attuale previsione del comma 18 del citato articolo 90, in materia di oggetto sociale, richiama l’“organizzazione di attività sportive dilettantistiche, compresa l’attività didattica per l’avvio, l’aggiornamento e il perfezionamento nelle attività sportive”.

 

Il decreto introduce il nuovo termine “gestione” (“organizzazione e gestione di attività sportive dilettantistiche”). Questo porterebbe a ritenere che le Ssd che si limitassero, ad esempio, a gestire un impianto sportivo “locando” gli spazi attrezzati ai vari fruitori ma senza gestire direttamente attività riconosciute come sportive (il riferimento potrebbe essere a quelle palestre dove si svolgono esclusivamente attività motorie) potrebbero essere illegittime.

 

Viene confermato, facendo salvo quanto già sopra indicato, il divieto di distribuzione indiretta di utili. Per la definizione di questa fattispecie si fa espresso richiamo alla norma contenuta nell’articolo 3, commi 2 e 2 bis, D.Lgs. 112/2017.

 

Viene considerata distribuzione indiretta di utili vietata:

 

  • la corresponsione ai componenti degli organi sociali di compensi “individuali non proporzionati all’attività svolta, alle responsabilità assunte e alle specifiche competenze”,
  • i pagamenti ai dipendenti e ai professionisti, se superiori del quaranta per cento rispetto a quanto previsto per le medesime qualifiche dai contratti collettivi,
  • la remunerazione di strumenti finanziari in misura superiore a due punti rispetto al limite massimo previsto per la distribuzione di dividendi,
  • l’acquisto di beni o servizi per corrispettivi superiori al loro valore normale o a condizioni più favorevoli di quelle di mercato.

 

Esaminati nel precedente contributo gli aspetti “civilistici” delle nuove società sportive dilettantistiche per come disegnate dalla riforma dello sport, appare necessario ora verificare quali possano essere le conseguenze sotto il profilo fiscale.

 

Ciò sul presupposto che la parziale distribuzione di utili autorizzata dalla legge potrebbe avere effetto anche sulla disciplina fiscale sino ad oggi applicata dalle società sportive dilettantistiche di capitale.

 

In via preliminare chiariamo che la distribuzione parziale di utili viene indicata dalla riforma dello sport come una opzione possibile (“gli enti dilettantistici possono destinare una quota inferiore al cinquanta per cento degli utili ….”).

 

Pertanto, nel caso in cui questa possibilità venisse espressamente esclusa in statuto, ovviamente cadrebbero tutte le considerazioni seguenti che sono riservate, invece, a quelle società di capitali sportive che intenderanno usufruire di questa opportunità.

 

La prima norma da esaminare è la possibilità di continuare ad applicare la L. 398/1991.

 

Questa norma, nata esclusivamente per le associazioni sportive dilettantistiche, ha visto la sua applicazione anche alle società in virtù di quanto previsto dall’articolo 90 Legge 27 dicembre 2002, n. 289 che rimarrà in vigore anche successivamente alla entrata in vigore del D.Lgs. 36/2021.

 

Ora sia l’articolo 1 L. 398/1991, che fa espresso riferimento alle associazioni sportive “senza scopo di lucro”, che l’articolo 90 Legge 27 dicembre 2002, n. 289 (“società sportive dilettantistiche costituite in società di capitali senza fine di lucro”) sembrerebbero escludere la possibilità di continuare ad applicare, in presenza di distribuzione di utili, la legge in esame.

 

È pur vero che l’articolo 8, comma 1 (che, ricordiamo rubrica “Assenza di fine di lucro”), indicano che le società sportive debbano destinare “eventuali utili ed avanzi di gestione allo svolgimento dell’attività statutaria o all’incremento del proprio patrimonio” ma il comma 3 (i cui contenuti sono stati descritti nel nostro precedente contributo) appare come un’eccezione (o, se si preferisce, una deroga) al principio e, pertanto, escluderebbe la possibilità di applicare la L. 398/1991.

 

Ad analoga conclusione si dovrà arrivare facendo riferimento a due altre norme di uso comune da parte delle Ssd.

 

Ci riferiamo all’articolo 148, comma 3, Tuir ai fini delle imposte sui redditi, e l’articolo 4, comma 4 ai fini Iva sulla decommercializzazione dei corrispettivi specifici.

 

Questo perché entrambe le norme vincolano la loro applicazione al “divieto di distribuire anche in modo indiretto, utili o avanzi di gestione nonché fondi, riserve, o capitale”.

 

Conferma alla tesi della non applicabilità di dette norme alle Ssd che avessero scelto la possibilità di una distribuzione parziale di utili si ricava anche dalla previsione dell’articolo 36, comma 3, D.Lgs. 36/2021, laddove, nel prevedere l’assoggettamento ad Iva dei corrispettivi per la cessione dei contratti degli atleti, specifica che ai fini dei redditi si potrà applicare l’articolo 148 solo per le società e associazioni sportive dilettantistiche “senza fini di lucro”.

 

L’inciso, che non è presente in altri passaggi del decreto in cui si fa riferimento ai sodalizi sportivi appare conferma della non applicabilità dell’articolo 148 Tuir alle Ssd con distribuzione di utili.

 

Chiarito questo non vi sono, invece, dubbi che tutte le Ssd, ivi comprese quelle “parzialmente lucrative”, potranno e dovranno applicare la nuova disciplina sul lavoro sportivo dilettantistico, nonché la disposizione di cui all’articolo 12 del citato D.Lgs. 36/2021 laddove si prevede l’inapplicabilità della ritenuta di cui all’articolo 28 D.P.R. 600/1973 sui contributi erogati dal Coni e dagli enti affilianti (ricordando che l’esonero da ritenuta non fa perdere la natura di componente positiva di reddito del contributo per le Ssd)l’imposta di registro in misura fissa per gli atti costitutivi e di trasformazione; la presunta natura di spesa pubblicitaria dei corrispettivi per sponsorizzazione fino a euro 200.000; l’esenzione da Iva sulle somme versate a titolo di premio di addestramento e formazione tecnica.

 

La nostra società sportiva di capitale potrà comunque sempre godere delle rimanenti agevolazioni previste per il mondo dello sport dilettantistico che proviamo a riassumere:

 

  • esclusione da imposta sulla pubblicità della cartellonistica collocata all’interno di Impianti con capienza non superiore a 3.000 posti;
  • esclusione dall’applicazione della tassa sul bollo e sulle concessioni governative;
  • detrazioni dall’imposta per contributi erogati fino ad un massimo di euro 1.500. L’articolo 15, comma 1, lett. i-ter consente la detrazione del 19% dei contributi erogati da persone fisiche ad associazioni sportive dilettantistiche fino ad un massimo di euro 1.500 annui;
  • detrazione del 19% delle spese di iscrizione ai corsi fino a euro 210 annui;
  • riduzione dell’accisa gas metano.

 

di Biagio Giancola, Guido Martinelli

 

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Prime considerazioni sulla riforma del lavoro sportivo dilettantistico

14/06/2022 di Guido Martinelli

Permane l’incertezza sulla disciplina del lavoro sportivo che dovrà essere applicata a partire dal prossimo 1° gennaio 2023. Infatti, il tanto atteso testo del correttivo al D.Lgs. 36/2021 continua a latitare.

 

Ricordiamo che manca ancora l’approvazione, in prima lettura, da parte del Consiglio dei Ministri che possa dare il via all’iter finale di approvazione (parere consultivo delle commissioni parlamentari competenti e della conferenza Stato-Regioni, oltre al voto finale, nuovamente da parte del Governo).

 

Pertanto, se ci sarà correttivo, questo vedrà la sua definitiva approvazione a ridosso della sua entrata in vigore e conseguente applicazione.

 

Questo sta impedendo ogni programmazione al mondo dello sport che si trova impossibilitato, non avendo certezze sul “costo lavoro”, sia a formulare i propri budget di attività sia a redigere i piani economico-finanziari necessari per la partecipazione alle procedure di assegnazione degli impianti sportivi pubblici.

 

E, sul tutto, grava l’interpretazione dell’articolo 67, comma 1, lett. m), Tuir fornita dalla Corte di Cassazione, che prevede l’utilizzo della norma agevolativa solo in presenza di attività che non sia quella principale del “lavoratore”, ribadendo, con efficacia interpretativa e quindi con effetto anche sul passato, la tesi della inapplicabilità della disciplina dei redditi diversi a lavoratori che svolgono con continuità l’attività sportiva dilettantistica.

 

Ma alla luce di qualche indiscrezione nel frattempo trapelata, della circostanza che trattasi di “correttivo” e che, pertanto non potrà la novella “stravolgere” l’impianto dell’attuale D.Lgs. 36/2021, nonchè di alcuni documenti di prassi amministrativa pubblicati recentemente dalla Agenzia delle entrate, qualche prima considerazione riteniamo possa essere fatta.

 

La prima è quella che, di fatto, si riduce fino quasi ad annullarsi la differenza tra sport professionistico e sport dilettantistico.

 

Per entrambe le fattispecie avremo che le prestazioni sportive a carattere oneroso saranno da inquadrare come prestazioni di lavoro, autonomo o subordinato a seconda dei casi, entrambe prevedranno il regime di svincolo per gli atleti, anche le società dilettantistiche potranno procedere ad una parziale distribuzione degli utili e il socio recedente potrà valorizzare la sua quota a valore di bilancio.

 

Scompaiono i compensi sportivi disciplinati solo sotto il profilo fiscale, quelli che abbiamo applicato (male, come ci ha detto la Cassazione) fino ad oggi e scompaiono anche gli “amatori”, altra figura ibrida presente nel vigente D.Lgs. 36/2021.

 

Quindi avremo solo “volontari” (che sono coloro i quali non percepiscono alcun tipo di compenso per l’attività svolta). Per costoro dovrà solo essere garantita, in aggiunta alle polizze assicurative connesse al tesseramento, la copertura per responsabilità civile verso terzi.

 

I lavoratori retribuiti di un centro sportivo si divideranno in due grandi famiglie:

 

  • i lavoratori “ordinari”, che saranno coloro i quali svolgono mansioni non riconosciute come sportive dal decreto in esame o dagli enti affilianti di competenza (ad esempio: custodi, manutentori, addetti alle pulizie, al pro shop, al punto di ristoro, all’area benessere, ecc.) nei cui confronti si applica la disciplina ordinaria del rapporto di lavoro,
  • e i “lavoratori sportivi” intendendosi come tali allenatori, istruttori, atleti, direttori sportivi, direttori tecnici nei cui confronti, invece, si applicherà la disciplina prevista dal nuovo decreto.

 

Qui si pone il tema del dover inquadrare il rapporto di lavoro che, secondo quanto prevede la norma, potrà costituire rapporto di lavoro autonomo, subordinato o collaborazione coordinata e continuativa.

 

Probabilmente questa appare essere la criticità prevalente che rimarrà anche dopo il correttivo.

 

La volontà di arrivare ad una tipizzazione di tutto il rapporto di lavoro sportivo (inquadrandolo sempre e comunque come collaborazione coordinata e continuativa), richiesta a gran voce, sembra che non sia stata accolta dal legislatore.

 

Pertanto, salva l’introduzione di alcune presunzioni e l’importante lavoro preventivo che si potrà fare con la certificazione dei contratti sportivi, questa incertezza permarrà come connotato “negativo” della riforma.

 

Rimane confermata anche la figura delle amministrativo-gestionali con la medesima disciplina prevista per i lavoratori sportivi.

 

Nel frattempo, è giunta notizia che il CCNL sul lavoro negli impianti sportivi e palestre, sottoscritto da Confcommercio come parte datoriale e dalle organizzazioni di settore di Cgil, Cisl e Uil come parti sindacali è stato prorogato fino al 31.12.2023 con alcune modifiche, in particolare sui minimi tabellari.

 

Questo significherà, ad esempio, che le prestazioni medie di un istruttore inquadrato al terzo livello dovranno essere retribuite, sulla base di 40 ore di prestazione settimanale, ad un minimo di euro 1.450,36 lordo a partire dal prossimo primo ottobre; minimo a cui le sportive del terzo settore dovranno a maggior ragione attenersi ai sensi di quanto previsto dall’articolo 16, comma 1, del codice del terzo settore.

 

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Cosa cambierà per le sportive con la riforma dello sport? – seconda parte

08/04/2022 di Guido Martinelli

Proseguendo l’analisi avviata con il precedente contributo, un aspetto di sicuro interesse per il mondo sportivo è la possibilità, prevista dall’articolo 14 D.Lgs. 39/2021, per le associazioni sportive dilettantistiche “non riconosciute”, di acquisire la personalità giuridica mediante deposito, da parte del notaio rogante, dello statuto presso l’istituendo nuovo registro delle attività sportive.

 

Gli effetti della norma decorreranno dal prossimo 31 agosto.

 

Riepiloghiamo lo stato dell’arte.

 

La personalità giuridica di diritto privato, per gli enti di cui al primo libro del codice civile:

 

  • consiste nella acquisizione della autonomia patrimoniale perfetta (delle obbligazioni contratte ne risponde solo il patrimonio della associazione)
  • e si ottiene, ai sensi di quanto previsto dagli articoli 14 e ss. cod. civ. e D.P.R. 361/2000, attraverso una domanda alla Prefettura per gli enti che operano su base nazionale o alla Presidenza della Giunta Regionale (o Provinciale per le provincie autonome) per le realtà territoriali che operano in materie delegate alle Regioni.

 

Il riconoscimento ha natura discrezionale, sulla base della valutazione di conformità posta in essere dalla Autorità amministrativa tra quelle che sono le finalità dell’ente e il patrimonio che dimostra di possedere e che ha la funzione di garantire i terzi che contraggono con l’ente riconosciuto.

 

Nel tempo si è arrivati ad avere una quantificazione del patrimonio necessario al fine di ottenere il riconoscimento estremamente variegata sul territorio nazionale (per le associazioni: Lombardia euro 30.000; Emilia Romagna euro 25.000; Piemonte euro 15.000, Bolzano euro 5.500).

 

Il D.P.R. 117/2017 disciplina, all’articolo 22, per gli enti del terzo settore una procedura “semplificata” per ottenere detto riconoscimento delegando al notaio rogante la verifica della sussistenza dei requisiti, anche patrimoniali, per l’ottenimento del riconoscimento, che si perfeziona con l’iscrizione al Runts da parte del medesimo.

 

Il codice del terzo settore uniforma su tutto il territorio nazionale la consistenza patrimoniale necessaria quantificandola in euro 15.000.

 

In questo quadro normativo si inserisce l’articolo 14 D.Lgs. 39/2021 che, con procedura analoga (deposito da parte del notaio), porta a far conseguire alle associazioni sportive richiedenti il citato riconoscimento.

 

La novità assoluta è che detta richiesta non deve essere comprovata dalla esistenza di alcuna valutazione di ordine patrimoniale.

 

Identificato il vulnus si deve valutare come questo impatti sul mondo dei rapporti economici.

 

Se è vero, come è pacifico, che il minimo patrimoniale assolveva a garanzia dei diritti dei terzi, questa funzione è stata stravolta dal diritto societario che vede parecchi enti dotati di personalità giuridica con patrimoni minimi o addirittura simbolici (srl semplificate, cooperative, ecc.).

 

Il mondo sportivo, diversamente da quello del terzo settore, non ha una differenziazione netta, ad esempio, nel tipo di attività, tra associazioni e società sportive dilettantistiche.

 

Se si volessero, quindi, trasferire anche nel D.Lgs. 39/2021 gli stessi principi dell’articolo 22 cts, avremmo che una asd che svolge una attività non economica deve garantire i terzi con 15.000 euro di patrimonio e una ssd che magari ha milioni di euro di volume d’affari è regolarmente dotata di autonomia patrimoniale con un capitale sociale di 10.000 euro (e magari neanche interamente versato).

 

Premesso quindi che l’assenza della richiesta di un patrimonio minimo, in un’ottica evolutiva degli enti associativi non appare discutibile, assai dubbia è la disciplina indicata.

 

Infatti il comma 13-quinquies dell’articolo 10 D.L. 73/2021 (convertito con modifiche dalla L. 106/2021) ha abrogato, per le associazioni e società sportive dilettantistiche, l’obbligo del deposito dello statuto al registro delle attività sportive.

 

Pertanto il notaio dovrà comunque depositare l’atto al dipartimento per lo sport ma non ci potrà essere l’iscrizione dell’ente al registro anche perché l’ente dovrà provvedere anche alla affiliazione alla Federazione o all’ente di promozione sportiva di riferimento.

 

Quale sarà quindi il dies a quo del riconoscimento?

 

In più, se appare chiaro il dettato per gli enti di nuova costituzione (“…il notaio che ha ricevuto l’atto costitutivo di una associazione, verificata la sussistenza delle condizioni previste dalla legge per la costituzione dell’ente … deve depositarlo entro venti giorni presso il competente ufficio del dipartimento per lo sport…) , non si comprende come possano richiedere il riconoscimento associazioni sportive prive di personalità giuridica già iscritte al registro alla data di entrata in vigore della nuova disciplina.

 

Così come appare di assai difficile praticabilità la richiesta di depositare, all’atto della richiesta di iscrizione al registro delle attività sportive, i “dati dei tesserati”. Ciò in quanto il tesseramento normalmente decorre da quando la sportiva è regolarmente affiliata ed operativa.

 

Una figura nuova prevista dalla riforma, all’articolo 33, comma 6, D.Lgs. 36/2021 è quella del “responsabile della protezione dei minori” che ha lo scopo di prevenire ogni possibile abuso o violenza sui giovani sportivi.

 

Funzioni e compiti di questo nuovo soggetto che si affaccia al mondo dello sport saranno meglio definiti in un emanando decreto interministeriale previsto dalla stessa norma. 

 

 

 

 

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