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L’opinione

Il registro dei volontari degli enti del terzo settore

31/05/2021 di Guido Martinelli

La Direzione Generale del Terzo settore del Ministero del lavoro e delle politiche sociali continua la pubblicazione di note a chiarimento delle modalità di applicazione del codice del terzo settore.

 

Con la nota n. 7180 del 28.05.2021 è intervenuto sull’obbligo previsto dall’articolo 17, comma 1, cts di “iscrivere in un apposito registro i volontari che svolgono la loro attività in modo non occasionale”, al fine di confermarne l’esigenza di vidimazione.

 

Purtroppo già qui si perde una prima ottima occasione di chiarire cosa debba intendersi per attività volontaria non occasionale.

 

L’articolo 17 del codice, anche in altro passaggio (comma 6: “ai fini del presente codice non si considera volontario l’associato che occasionalmente coadiuvi gli organi sociali nello svolgimento delle loro funzioni”), fa riferimento alla occasionalità che, come è noto, è concetto di difficile traduzione in termini giuridici.

 

L’insieme delle due norme porta a due conseguenze:

 

  • che il volontario occasionale rimane privo di copertura assicurativa
  • e che non entra nel computo della proporzione tra volontari e lavoratori prevista per le odv e le aps.

 

L’assenza di un chiarimento in merito, in special modo per gli aspetti assicurativi, potrebbe essere gravida di conseguenze.

 

Il documento di prassi ricorda poi il decreto ministeriale 14.02.1992 che aveva istituito il registro, allora solo per le organizzazioni di volontariato, che prevedeva l’obbligo della numerazione progressiva delle pagine, la bollatura di ogni pagina nonché l’apposizione della dichiarazione da parte della autorità che aveva bollato le pagine circa il numero complessivo delle stesse.

 

Da ciò, ribadito che dette modalità avevano come obiettivo quello di garantire la veridicità del documento e prevenirne l’alterazione, ricorda che la circostanza che il codice del terzo settore non preveda tali adempimenti “non significa che tali adempimenti non siano più necessari”.

 

La loro previsione è insita nelle disposizioni di attuazione dell’obbligo assicurativo che permane e anzi viene esteso a tutti gli ets che utilizzano volontari.

 

Al momento, per quanto noto, tale adempimento, così come richiesto, potrà essere svolto solo da un notaio con relativi costi a carico del richiedente.

 

L’occasione è ghiotta per fare anche qualche altra considerazione sui volontari.

 

E, più precisamente, il problema che ci si pone è quello di come individuarli.

 

Infatti il comma 2 del citato articolo 17 li descrive come coloro i quali svolgono la loro “attività in favore della comunità e di un bene comune… per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione in modo permanente, spontaneo e gratuito … esclusivamente per fini di solidarietà”.

 

Se tale definizione si adatta perfettamente agli operatori “volontari” degli enti che si occupano di socio assistenziale o di sanitario, diventa “meno facile” adattarla agli operatori delle associazioni culturali o sportive.

 

Infatti, per queste realtà, prevalgono le finalità egoistiche o comunque di soddisfazione personale. Basti pensare anche alla circostanza che la riforma dello sport prevede una categoria di “amatori” assimilabile a quella dei volontari, che, però, possono ricevere riconoscimenti economici fino a 10.000 euro l’anno, a conferma che il concetto di volontariato, per come declinato dall’articolo 17 del codice del terzo settore appare difficilmente applicabile allo sport.

 

In una associazione sportiva (caso classico) in cui associati sono gli atleti (che spesso e volentieri pagano una quota per poter giocare),i tecnici (che invece ricevono compensi per attività sportiva dilettantistica) e il direttivo, rimanente, composto da quattro o cinque persone, è spesso formato da qualche ex atleta e qualche tecnico (lavoratore) appare configurabile la fattispecie di cui all’articolo 35, comma 1, cts per la quale le aps devono avvalersi “in modo prevalente dell’attività di volontariato dei propri associati” ?

 

Al fine di valutare non tanto l’opportunità per una sportiva di diventare ente del terzo settore ma proprio la possibilità di farlo, l’individuazione di chi siano o possano essere considerati volontari, in conformità alla previsione dell’articolo 17 cts appare fondamentale.

 

Analogo ragionamento credo si possa fare per una filodrammatica, la quale va in scena in rappresentazioni a cui si accede mediante pagamento di un biglietto o dietro corrispettivo comunque versato dal promotore della iniziativa (ente locale, pro loco, ecc.).

 

Anche in questo caso avremo meno lavoratori (e sarebbe simpatico capire quale sarà la categoria, tra volontari e lavoratori, nella quale collocheremo i direttori artistici e i collaboratori tecnici ai quali vengono riconosciuti i compensi di cui all’articolo 67, comma 1, lett. m, Tuir) ma sicuramente degli associati nei quali prevale la finalità artistica piuttosto che quella solidaristica.

 

Al fine di evitare equivoci, in vista della prossima attivazione del Runts, una nota ministeriale di chiarimento sul concetto di volontariato, con particolare riferimento al mondo dello sport e della cultura, sarebbe gradita.

 

 

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L’istruttore sportivo è già lavoratore subordinato?

19/04/2021 di Guido Martinelli

La sezione lavoro della Corte d’Appello di Genova, con propria decisione dello scorso 9 febbraio, è intervenuta sulla disciplina del lavoro sportivo dilettantistico decidendo, ancor prima della pubblicazione dei decreti di riforma dello sport, in conformità alle linee guida che sarebbero dovute entrare in vigore solo dal 1° luglio del 2022.

 

Una SSD aveva impugnato l’avviso di addebito emesso dall’Inps per il pagamento della contribuzione ex Enpals relativa alla posizione di 96 collaboratori “trovati in sede ispettiva a lavorare presso il Centro Sportivo  ed inquadrati con contratti di collaborazione sportiva ex articolo 67 , comma 1 lett. m) Tuir e svolgenti diverse attività”.

 

Soccombente in primo grado era ricorsa in appello.

 

Era stato rilevato in sentenza che le prestazioni si configuravano quali ordinarie obbligazioni sinallagmatiche; la società pubblicizzava la specializzazione dei propri collaboratori, per la maggior parte professionisti nella disciplina sportiva di competenza; l’attività prestata dai collaboratori era connotata da ripetitività, stabilità e sistematicità di comportamenti finalizzati a fornire un servizio  non legato alla promozione di eventi sportivi dilettantistici riferibili a categoria determinata di utenza bensì un servizio indirizzato ad una committenza plurima e non distinguibile rispetto a quello fornito da una  struttura sportiva a carattere commerciale; i compensi erano determinati in base alla tipologia del servizio e ragguagliati al grado di specializzazione dei collaboratori, computati sulla base delle ore lavorate.

 

Il Collegio riprende il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento premettendo che “è pacifico che nel nostro ordinamento gli enti che perseguono finalità sportive dilettantistiche sono destinatari di un particolare trattamento di favore.

 

La Corte conferma che i compensi a fronte di prestazioni di tipo non professionale costituiscono redditi diversi; pertanto, non trattandosi di importi collegati ad attività lavorativa entro il limite di esonero oggi a 10.000 euro non sono assoggettati a contribuzione e ad imposizione fiscale.

 

L’esonero contributivo è condizionato al requisito soggettivo della finalità dilettantistica perseguita dall’ente, il requisito oggettivo costituito dallo svolgimento da parte dei collaboratori sportivi e gestionali di attività in modo non professionale, quindi “ non si deve trattare del loro lavoro.

 

La società ricorrente doveva dare prova circa la ricorrenza della condizione di non professionalità.

 

L’ipotesi esentativa ha carattere eccezionale rispetto alla regola generale per cui “lo svolgimento di qualsiasi attività produttiva comporta oneri di solidarietà sociale”.

 

La solidarietà è un principio di matrice costituzionale declinata nell’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale (articolo 2 Cost.): “Per avere l’esonero fiscale e contributivo, il dilettantismo deve essere presente non solo in capo al soggetto che fruisce dei servizi della palestra ma anche e soprattutto in capo agli istruttori ed a coloro che collaborano nella gestione del Centro Sportivo”.

 

Osservava la Corte che “gli enti dilettantistici organizzano l’attività sportiva a favore di soggetti dilettanti che intendono fare esercizio fisico; il diletto è dunque dell’utente che si avvale della struttura sportiva per fare o imparare uno sport, ma non dei collaboratori (istruttori e amministrativi) di cui l’ente si avvale per organizzare l’attività sportiva”.

 

Occorre quindi verificare, per il Giudicante, caso per caso, che tipo di rapporto si sia instaurato tra il collaboratore e l’ente sportivo dilettantistico, ritornando quindi al concetto di professionalità.

 

Se il collaboratore svolge l’attività in modo professionale, i compensi da lui percepiti sono redditi da lavoro (dipendente o c.d. parasubordinato), altrimenti sono redditi diversi.

 

Occorre dunque spostare l’obiettivo dalla natura dilettantistica delle attività offerte dall’ ente sportivo alla natura dilettantistica della collaborazione, che – lo si ribadisce – non necessariamente coincidono.

 

E la collaborazione è di tipo dilettantistico quando non è lavoro; in altri termini deve trattarsi di attività non rientrante nel concetto di mestiere nel suo differente atteggiarsi.

 

Questo è dunque il corretto modo per distinguere i due tipi di reddito: l’appassionato di sport che durante il proprio tempo libero allena un gruppo di sportivi dilettanti, se riceve per questa attività un compenso o un rimborso spese, percepisce un reddito diverso non assoggettato a contribuzione e, entro certi limiti, ad imposizione fiscale; ma ben diverso è il caso dell’istruttore di ginnastica che svolge questa attività di mestiere, i cui compensi sono redditi da lavoro da assoggettarsi a contribuzione…. E che tale debba essere il discrimen ai fini dell’ assoggettamento a contribuzione è dimostrato dalle abnormi conseguenze che potrebbero derivare dall’ impostazione prospettata dalla società oggi appellante: si pensi ad un istruttore diplomato che svolge in modo assolutamente professionale la sua attività a favore di più società sportive dilettantistiche percependo da ciascuna compensi inferiori alla soglia di imponibilità fiscale; ad accogliere la tesi difensiva dell’ appellante, questo lavoratore si troverebbe ad essere totalmente scoperto da tutela assicurativa, in violazione dei fondamentali principi di universalità della tutela assistenziale.”

 

Alla luce di questa chiara presa di posizione da parte della Magistratura, il rinvio a luglio 2022 degli effetti della riforma sul lavoro sportivo potrebbe essere privo di effetti.

 

di Guido Martinelli, Marilisa Rogolino

 

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Il diritto di voto dei minorenni negli enti associativi

17/03/2021 di Guido Martinelli

L’approssimarsi della scadenza del 31 marzo per l’approvazione delle modifiche statutarie con i quorum costitutivi e deliberativi delle assemblee ordinarie per associazioni di promozione sociale e organizzazioni di volontariato, impone di tornare sul tema del diritto di voto dei minorenni nelle assemblee associative (sul punto si veda anche il precedente contributo “Le assemblee delle associazioni: novità in vista?”)

 

La Suprema Corte di Cassazione, con propria sentenza n. 23228 del 04.10.2017 ha affermato, sia pure in maniera solo incidentale, che i diritti partecipativi degli associati non possono essere limitati anche: “se si trattasse di persone minori posto che essi sono rappresentati ex lege dai genitori, ovvero dal responsabile genitoriale”.

 

Tale principio è stato poi ripreso dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali con propria nota n. 1309 del 06.02.2019 laddove, dopo aver motivato i casi in cui sarebbe illegittimo uno statuto che inibisse l’accesso ai minorenni (ritenendolo, d’altro canto, invece coerente come limite per quelle attività, come ad esempio per quelle associazioni che operano nel settore della Protezione civile o nelle altre attività di interesse generale incoerenti con la partecipazione di minorenni) ribadisce, alla luce dell’insegnamento della sentenza sopra citata che sarebbe contrario al principio della parità dei diritti tra gli associati escludere i minorenni dal diritto di voto in quanto: “il relativo esercizio, in caso di minore età, deve ritenersi attribuito, ex lege, per i soci minori, agli esercenti la responsabilità genitoriale sugli stessi”.

 

Di conseguenza la Regione Emilia Romagna, ad esempio, ha iniziato a non accettare l’iscrizione nei registri regionali delle associazioni di promozione sociale ad enti che statutariamente non consentono il diritto di voto ai minorenni.

 

Si ritiene, anche se questo non viene dettagliato nella giurisprudenza e nei documenti di prassi indicati che in esame appare essere solo l’elettorato attivo e non anche quello passivo, non compatibile con l’assenza della capacità di agire.

 

A diversa conclusione non si giungerebbe neanche ricordando il comma 8 dell’articolo 148 Tuir laddove, tra i requisiti che gli enti associativi dovranno indicare in statuto per ottenere il diritto alle agevolazioni di cui al comma 3 della stessa norma è previsto quanto segue: “prevedendo per gli associati o partecipanti maggiori di età il diritto di voto per l’approvazione e le modificazioni dello statuto e dei regolamenti e per la nomina degli organi direttivi dell’associazione”.

 

Infatti, questo appare un requisito minimo per poter applicare la norma agevolativa senza dare prova che sia impossibile prevedere un diritto di voto, tramite l’esercente la responsabilità genitoriale, anche per il minorenne.

 

Il genitore esercente la responsabilità sul figlio minore associato non è titolare di usufrutto legale sulla quota associativa o comunque sui diritti associativi che appartengono al minore.

 

Ne discende che, in seno all’associazione, il genitore adempie ad una funzione sostituiva del minore agendo quale rappresentante del figlio e non in nome proprio, compiendo atti negoziali validi ed efficaci nei confronti del minore.

 

Il minore “conclude” il contratto associativo a mezzo del genitore; si tratta di attività di ordinaria amministrazione che può essere svolta disgiuntamente dai genitori esercenti la responsabilità genitoriale.

 

Il minore acquista lo status di associato (pertanto del loro numero se ne dovrà tenere conto nella determinazione dei quorum costitutivi e deliberativi della assemblea) che gli attribuisce i diritti collegati; fra questi il diritto di partecipare all’assemblea, il diritto di voto oltre al diritto di fruire delle attività e delle iniziative sportive.

 

Nulla quaestio sulla titolarità del diritto; la questione è sull’esercizio del diritto di voto, posto che il diritto di partecipazione all’assemblea non è avversato da sensibili argomenti.

 

Il minore, in quanto incapace legale, è rappresentato dal genitore che agisce in suo luogo intervenendo in assemblea e manifestando scelte sugli argomenti scrutinati.

 

È questa la soluzione più semplice, più” classica”.

 

Il diritto di voto è tradizionalmente un diritto funzionale in quanto diretto a soddisfare non solo interessi propri di chi lo esercita ma interessi che investono la vita della comunità organizzata.

 

Configura un diritto di libertà la facoltà per il minore di partecipare ed intervenire in assembleapronunciarsi sulla vita associativa e in specie su quanto relativo al godimento di alcuni diritti afferenti alla qualità rivestita ed in specie alla utilizzabilità dei servizi, alle modalità, all’organizzazione ed ai tempi rapportati alle caratteristiche dell’utenza, e tenuto conto delle istanze avanzate in seno all’assemblea.

 

Abbiamo detto che l’adeguamento della capacità di agire al diciottesimo anno di età valorizza regole di comune esperienza; non sussiste automatismo che raccordi l’incapacità legale con l’incapacità naturale. Viene pertanto ritenuto compatibile, per determinate materie che non coinvolgono responsabilità economiche, anche il voto diretto dei sedicenni.

 

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Lettera aperta al legislatore

15/03/2021 di Guido Martinelli

Caro legislatore, Ti scrivo su consiglio del mio legale, che a fronte di alcune mie domande si è arreso e mi ha detto che solo Tu puoi rispondermi.

 

Sono una associazione sportiva dilettantistica, regolarmente iscritta al registro Coni che a suo tempo si iscrisse anche nel registro delle associazioni di promozione sociale. Debbo decidere se entro il 31 marzo fare o meno l’assemblea di approvazione delle modifiche di statuto necessarie per l’iscrizione al Runts e mantenere o meno la doppia natura.

 

Ho chiesto quindi ulteriori informazioni.

 

 Avevo affittato un capannone industriale per fare i mei corsi di ginnastica e non potevo permettermi di versare il contributo al Comune per il cambio di destinazione d’uso dell’immobile. Per ovviare mi suggerirono di diventare aps così avrei potuto fare attività in qualsiasi immobile, indipendentemente dalla sua destinazione d’uso.

 

Il mio avvocato mi dice che l’agevolazione ora, ai sensi dell’art. 71 del codice del terzo settore, in seguito cts, è riservata alle attività “non di tipo produttivo”. Vorrei sapere: organizzare per una aps dei corsi sportivi in un immobile industriale significa utilizzo di tipo produttivo, quindi vietato o no? Sono comunque in regola con il mio Comune? Silenzio dal mio professionista.

 

Il mio avvocato mi ha detto che debbo assicurare tutti i volontari che svolgono in via continuativa attività per me ai sensi dell’art. 18 cts, anche per la responsabilità civile. Copertura ulteriore rispetto a quello che offro, con il tesseramento federale (morte e invalidità permanente ex art. 51 l. 289/02) ai miei iscritti. Sono andato dal mio assicuratore che mi ha chiesto quale sia il massimale da coprire. L’ho chiesto al mio avvocato che mi ha detto che non lo sa perché non è stato ancora emanato a 4 anni dall’entrata in vigore del cts il decreto attuativo previsto dal secondo comma dell’art. 18.

 

Mi ha poi parlato del rapporto che ci dovrà essere ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 35 e 36 del cts; come aps dovrò avvalermi “in modo prevalente dell’attività di volontariato dei propri associati” e che i lavoratori impiegati (tra i quali andranno ricompresi i soggetti che percepiscono i compensi sportivi) non potranno essere superiori al 50% dei volontari o al cinque per cento del numero degli associati.

 

Ma chi sono i volontari in una asd se come tali ai sensi dell’art. 17 dovrò ritenere coloro i quali svolgono tale attività “esclusivamente per fini di solidarietà”? I miei lo fanno perché vogliono giocare loro e se ne fregano degli altri.  E come faccio se la maggioranza dei miei associati (tecnici e atleti) percepisce compensi sportivi? Anche su questo il mio legale tace.

 

Ai sensi dell’art. 16 cts ai miei lavoratori dovrei garantire i trattamenti economici previsti dai contratti collettivi. Ma come faccio a determinare il compenso per i miei atleti agonisti se nessun CCNL li prevede? Silenzio del mio consulente.

 

Avrei voluto una volta attivato il Runts, chiedere la personalità giuridica ai sensi dell’art. 22. Ma anche qui il mio avvocato ha detto che è meglio aspettare perché con la riforma dello sport potrei ottenerla ugualmente senza dover dimostrare neanche il patrimonio minimo di 15.000 euro.

 

Ho la fortuna che alcuni genitori di miei atleti hanno aziende che sponsorizzano la mia attività. Questi proventi, uniti ad un po’ di bevande e di materiale sportivo venduto, di biglietti del saggio di fine anno, arrivano al 60 per cento del totale delle mie entrate. Il mio avvocato mi ha detto che sulla base della bozza di decreto (anche questo non ancora ufficiale) sull’art. 6 cts dovrò ridurre del 30 per cento questi ricavi perché, stando ai si dice, non dovrebbero superare il 30%. E che “forse” l’attività potrebbe essere ritenuta di “impresa” con conseguente iscrizione anche alla Camera di commercio e natura commerciale di tutta l’attività.

 

Ho chiesto di spiegarmi la parte fiscale e mi ha detto sia che non è ancora definitiva sia come ets (manca l’autorizzazione UE) che come asd (anche la riforma dello sport potrebbe contenere modifiche al regime fiscale che al momento non possiamo conoscere non essendo in Gazzetta Ufficiale).

 

In più, mi ricordava il mio legale, dovrò inviare tutta la documentazione (statuti, verbali, attività svolta, tesserati) sia al registro Coni che al Runts. Quando ho chiesto perché, mi ricordavo che esisteva una norma per la quale la Pubblica Amministrazione non mi poteva richiedere dati di cui fosse già in possesso il mio avvocato non ha saputo rispondermi.

 

A questo punto, mi rispondi tu o mi consigli di cambiare avvocato?

 

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La riforma dello sport

01/03/2021 di Guido Martinelli

Il Consiglio dei Ministri del 26 febbraio, nell’imminenza della scadenza della delega, ha approvato i cinque decreti delegati di riforma dello sport di cui alla L. 86/2019.

 

Come è noto, l’approvazione di questi decreti è stata oggetto di un intenso dibattito che vedeva contrapposte le forze politiche del precedente Governo con le istituzioni sportive (Coni e Federazioni): ciò aveva fatto temere che il termine del 28 febbraio scadesse senza approvazione dei testi.

 

La soluzione adottata appare, però, anch’essa non priva di criticità. Infatti, accogliendo una richiesta proveniente dal mondo sportivo, che aveva proposto, in subordine alla non approvazione, appunto il differimento sulla entrata in vigore del provvedimento (con il conseguente obiettivo, neanche tanto recondito, di modificarne i contenuti) si è provveduto, a quanto consta (i testi al momento in cui sono redatte le presenti note non sono stati ancora pubblicati in Gazzetta Ufficiale), a rinviare al 1° luglio 2022 l’entrata in vigore della novella sul lavoro sportivo sia dilettantistico che professionistico, mentre il comunicato ufficiale del governo poi espressamente indica che: “Con un successivo provvedimento del Consiglio dei Ministri sarà disposto, infine, il differimento dell’applicazione degli ulteriori decreti, relativi ad agenti sportivi, norme di sicurezza per gli impianti sportivi, semplificazione burocratica, contrasto alla violenza di genere e sicurezza degli sport invernali”.

 

Si ritiene, pertanto, che l’unica parte che dovrebbe entrare in vigore a partire dal giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale siano i primi 4 titoli del decreto in ordine agli enti sportivi professionistici e dilettantistici.

 

Non possiamo fare a meno di sottolineare come, in questo modo, decada la novità che avevamo accolto con maggior favore di tutta la riforma, ossia la possibilità per le Asd di ottenere, automaticamente, con l’iscrizione al Registro, la personalità giuridica di diritto privato. Questa possibilità, infatti, era contenuta nel decreto semplificazione, di cui il comunicato del Consiglio dei ministri ha già preannunciato il differimento.

 

Apparentemente resta il problema delle cooperative sportive che non potrebbero più essere riconosciute ai fini sportivi e si dovrebbe provvedere alla loro cancellazione dai registri Coni.

 

Ma la novità che desta maggiori preoccupazioni appare essere il combinato disposto di cui agli articoli 7 e 9 del decreto entrato in vigore, che prevede che il sodalizio sportivo debba svolgere attività sportiva “in via stabile e principale” e che le rimanenti attività possano essere svolte solo se “abbiano carattere secondario e strumentale rispetto alle attività istituzionali secondo criteri e limiti definiti con decreto …” ( se il metro dell’emanazione di questo decreto sarà il medesimo di quello della riforma del terzo settore, che dopo ormai quasi quattro anni dalla sua entrata in vigore sta ancora attendendo il decreto sulle attività diverse, le preoccupazioni sono tante).

 

Questo potrebbe significare che proventi quali posti di ristoro, centri benessere, affitto spazi, merchandising, pubblicità nella loro sommatoria dovranno essere comunque inferiori ai proventi diretti per attività sportive. Se fosse così, gli effetti sarebbero forti per il mondo dello sport.

 

La consapevolezza che per il 2021 nessuna altra norma della riforma presumibilmente entrerà in vigore (e la facile profezia che le stesse saranno abbondantemente riviste rispetto al testo appena approvato) ci porta a trascurare ogni approfondimento in merito per concentrarci, invece, su un tema che abbiamo visto essere messo poco alla luce.

 

Ossia cosa accadrà, in special modo per la disciplina del lavoro sportivo dilettantistico (per quello professionistico la L. 91/1981, dopo 40 anni, continuerà la sua onorata carriera) nel periodo transitorio, ossia a partire già dallo stesso giorno in cui sarà possibile riprendere le attività.

 

Tutta la Giurisprudenza più recente, anche di legittimità, aveva ormai acquisito la prestazione sportiva dilettantistica come prestazione lavorativa speciale, come tale distinta dalla classica ripartizione tra lavoro autonomo e subordinato (“…in un’ottica premiale della funzione sociale connessa all’attività sportiva dilettantistica, quale fattore di crescita sul piano relazionale e culturale, il legislatore ha inteso definitivamente chiarire che anche i compensi per le attività di formazione, istruzione ed assistenza ad attività sportiva dilettantistica beneficiano dell’esenzione fiscale e contributiva, senza voler limitare, come in precedenza in alcuni ambiti sostenuto, tale favor alle sole prestazioni rese in funzione di una partecipazione a gare e/o a manifestazioni sportive…” – Cass. Civ., Sez. lavoro, ordinanza n. 24365 del 30.09.2019).

 

La stessa prassi amministrativa era arrivata ad analoga conclusione “… la volontà del legislatore … è stata certamente quella di riservare ai rapporti di collaborazione sportivo-dilettantistici una normativa speciale volta a favorire e ad agevolare la pratica dello sport dilettantistico rimarcando la specificità di tale settore che contempla anche un trattamento differenziato rispetto alla disciplina generale che regola i rapporti di lavoro …” (circolare INL n. 1/2016).

 

Nel momento in cui una norma, regolarmente approvata sia pure non ancora in vigore, esclude questo tertium genus costruito dalla Giurisprudenza e riporta il lavoro sportivo esclusivamente nell’alveo dei rapporti subordinati o autonomi, la conclusione potrebbe essere che, in tutti quei casi in cui l’attività svolta dal prestatore costituisca una obbligazione di lavoro non si potrà comunque già da ora più riconoscere solo il compenso agevolato di cui all’articolo 67, comma 1, lettera m), Tuir.

 

Spero di sbagliarmi.

 

 

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AUDIZIONE SETTIMA COMMISSIONE SENATO 05.01.2021 ORE 15.00

14/01/2021 di Guido Martinelli

Considerazioni preliminari

 

L’audizione odierna ha per oggetto i cinque schemi di decreto legislativo oggetto della delega che trae origine dalla L. 86/2019 (“Deleghe al Governo e altre disposizioni in materia di ordinamento sportivo, di professioni sportive nonché di semplificazione”).

 

La mancata approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del sesto decreto, quello c.d. “ordinamentale”, ossia quello che ridisegnava ruoli e compiti delle organizzazioni di vertice dello sport italiano (Coni, Sport e salute, Dipartimento sport presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Federazioni, discipline sportive associate e Enti di promozione sportiva) lascia irrisolti numerosi dubbi che ricadono anche sui testi oggetto dell’esame odierno.

 

L’atto del Governo n. 230 che reca: “Riordino e riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici nonché di lavoro sportivo” appare, per i suoi contenuti, quello maggiormente gravido di importanti e rilevanti conseguenze per lo sport italiano, ed è il testo su cui concentreremo le nostre maggiori attenzioni.

 

Come indicato nelle varie relazioni di accompagno, ad oggi solo quattro discipline sportive hanno attivato al proprio interno un settore professionistico ai sensi della l. 91/81 (calcio, pallacanestro, ciclismo e golf). Non vi è dubbio, quindi che, rispetto alle quasi 400 discipline sportive riconosciute dal Coni, il ridotto numero di quelle che hanno ufficializzato il regime del professionismo dimostra l’estrema difficoltà di estendere il perimetro di quella legge oltre alle citate discipline, di maggior impatto sui media e sul pubblico.

 

Il legislatore delegato ha omesso ogni considerazione sul “perché” fino ad oggi l’inquadramento come professionistico non avesse raccolto l’interesse di molte attività sportive e ha riproposto, praticamente con un lavoro di “copia – incolla” nello schema di decreto delegato la medesima disciplina della legge n. 91/81 che abroga.

 

Va anzi detto che avendo introdotto un concetto unitario di lavoro sportivo, di fatto la distinzione tra professionismo e dilettantismo si riduce alla possibilità, per i sodalizi professionistici di avere lo scopo di lucro e, dall’altro, per i dilettanti, di poter usufruire delle prestazioni degli amatori e dei collaboratori amministrativo – gestionali. In più l’attività dilettantistica continua ad essere determinata per differenza rispetto a quella professionistica, la cui identificazione è rimasta nel potere discrezionale delle Federazioni secondo gli indirizzi del Coni.

 

Onestamente, in una visione prospettica di sviluppo dello sport, crediamo che questa appaia, strutturalmente, la criticità che debba essere più rimarcata. Infatti non vi è dubbio, ad avviso di chi scrive, che ormai il mondo dello sport sia suddiviso in quattro macro aree.

 

L’attuale area del professionismo sportivo, laddove si ritiene possano rimanere (a fatica) solo le attuali 4 discipline, stante gli oneri che comporta e che meglio saranno indicati in seguito, quella di una “zona cuscinetto” che in passato avevamo definito tertium genus tra il mondo del dilettantismo e quello del professionismo, che potrebbe racchiudere tutte le società e associazioni che fanno attività sportiva agonistica in via prevalente a livello nazionale e interregionale, le “imprese sportive” intendendo come tali le società e associazioni che gestiscono palestre e impianti sportivi e in cui, invece, prevale lo svolgimento di attività fisica o motoria (come correttamente definita all’art. 2 co. 1 lett. f. Definizione a seguito della quale non si rintraccia poi nell’articolato alcuna specifica disciplina) nell’ambito dei quali avrebbero potuto trovare compiuta disciplina i nuovi “chinesiologi”, gli enti dilettantistici veri e propri che svolgono sport sociale che potrebbero essere gli unici interessati “anche” ad assumere la veste di enti del terzo settore.  

 

Si era chiesto, anche in precedenti audizioni connesse al mondo dello sport (vedi gli atti dei lavori della settima commissione del Senato, XVII legislatura la cui risoluzione fu approvata in data 6 dicembre 2016) la creazione di un settore intermedio, tra il professionismo “modello calcio” e l’attività dilettantistica di base all’interno del quale collocare soggetti che svolgono attività economiche quali, ad esempio, i gestori di impianti sportivi e, per l’appunto, i rimanenti sport di squadra di vertice.

 

Ognuno di questi 4 settori ha oggi specificità proprie, a partire dalla necessità, per lo scrivente, di rimettere in gioco il presupposto dell’assenza di finalità lucrative. Lo sport avrà sempre di più necessità di investimenti privati per poter evolvere per i quali una remunerazione dovrà poter essere garantita. Appare pacifico che in questo quadro a nulla serve il timido tentativo introdotto di prevedere una parziale distribuzione di utili per le società sportive di cui al libro V del codice civile, scelta che appare più “copiata” dalla previsione dell’impresa sociale di cui al d. lgs. 112/17 che da una scelta strategica in favore dello sport.

 

Invece di andare, come si sarebbe auspicato, quindi, verso discipline giuridiche differenti sulla base del collocamento della propria attività sportiva in una o nell’altra delle macro aree, si è preferito, di fatto, uniformare tutta in un unicum, senza tenere conto, ad esempio, della causa (ludica, di solidarietà, economica) che spinge un soggetto a svolgere attività nello sport e soffocando ogni differenziazione esistente sul piano delle motivazioni esistenti nello svolgimento della pratica sportiva.

 

Per l’attività professionistica, la circostanza che il legislatore delegato abbia dovuto mantenere la non applicazione di molti istituti tipici del rapporto di lavoro subordinato già presenti nella l. n. 91/81 (vedi art. 26 co. 1), snaturandone pertanto alcuni pilastri fondamentali con particolare riferimento allo statuto dei diritti dei lavoratori, non lo ha portato a ritenere opportuno, come lo scrivente avrebbe auspicato, rimettere in discussione la presunzione di subordinazione ivi prevista. I cui effetti cadranno, a riforma operante, a cascata anche sulle rimanenti discipline. Anzi si è allargata la fattispecie applicandola anche al mondo dilettantistico.

 

Ricordo, ad esempio, che le società partecipanti al campionato di A2 di pallacanestro, hanno richiesto alla Federazione la “retrocessione”, da campionato professionistico come era in origine, a campionato dilettantistico, proprio per l’oggettiva impossibilità a mantenere gli obblighi previsti dalla legge n. 91/81 legati, appunto, alla presunzione di subordinazione del rapporto.

 

Le motivazioni sono molteplici. Innanzitutto legate al costo degli atleti provenienti da Federazione straniera. Costoro, nei campionati dilettantistici, rimangono in Italia, in media, 3 o 4 stagioni. Pertanto, rimangono ben lontani dai 20 anni di contributi minimi per godere del trattamento previdenziale del fondo lavoratori sportivi. In più, spesso, hanno regimi di quiescenza non compatibili con i versamenti effettuati nel nostro Paese.

 

Questo comporta che il costo previdenziale rimane indifferente all’atleta proveniente da Federazione straniera, in quanto non ne potrà godere dei benefici relativi (e pertanto farà la sua richiesta di compenso prescindendo da questa componente) mentre rimarrà come costo “puro” per la società sportiva che lo tessera.

 

In più, paradossalmente, il costo previdenziale per i campionati nazionali dilettantistici degli sports di squadra appare superiore, in termini percentuali, rispetto a quello che sostiene il calcio. Infatti, essendo previsto per i contributi alla gestione  spettacolo, come da tabella che si produce, una contribuzione piena fino ad un ammontare di compensi annui pari a euro 103.055, un contributo figurativo fino a euro 751.278 e nulla sulla parte eccedente, gli atleti che percepiscono retribuzioni “importanti” come accade nel calcio, spalmandosi il carico previdenziale su tutto il compenso, hanno un ricarico più basso (e per i redditi più alti molto più basso in termini percentuali, ovviamente) di quello che dovrebbe sostenere un atleta i cui compensi, come accade nella quasi totalità degli atleti tesserati per le società dilettantistiche, rimangono all’interno della fascia ad aliquota piena pari a euro 103.055.

 

 

Questo significa che, comunque, per i lavoratori subordinati dilettanti tutti i contributi previdenziali verrebbero versati ad aliquota piena e che, per la maggior parte di essi, per l’esiguità del compenso, in regime contributivo, produrrà un assai poco rilevante vantaggio previdenziale.

 

La suddivisione dello sport in soli due mondi, quello dilettantistico e quello professionistico, appariva già da tempo anacronistica, pur nonostante è stata mantenuta. Anzi, per i motivi che meglio saranno descritti successivamente, si è di fatto equiparato il professionismo al dilettantismo

 

Che nel mondo dilettantistico ci fosse la necessità di distinguere le attività meramente volontarie e ludiche da quelle di matrice economica era richiesta oggettivamente esistente, ma sicuramente non immaginando che giungesse, di fatto, a costringerci ad applicare le medesime regole del mondo del calcio.

 

L’individuazione, poi, di alcune mansioni tipizzate (Atleta, Allenatore, Istruttore, Direttore tecnico, Direttore sportivo, Preparatore atletico, Direttore di gara), anche qui seguendo la scia già indicata dalla legge n. 91/81 porta a due ulteriori considerazioni.

 

Infatti, le “funzioni”, specialmente quelle a carattere dirigenziale connesse ad esempio alla carica di direttore sportivo, ben possono essere svolte da soggetto che non possiede tale qualifica (ad esempio dirigente accompagnatore, figura riconosciuta da molti regolamenti federali). In tal caso l’applicazione della nuova disciplina sul lavoro sportivo sarà legata alle funzioni svolte o alla qualifica riconosciuta al lavoratore? Questo è uno, e forse non il più importante, dei numerosi quesiti che indicheremo a cui si chiede che sia data risposta.

 

Ma l’aspetto che ci interessa rimarcare maggiormente è l’assoluta mancanza di valutazione della causa della prestazione d’opera sportiva a carattere oneroso. Si è dato per presupposto che, in questo caso, si debba trattare di un rapporto di carattere lavorativo a prestazioni corrispettive. Questo farà nascere l’errata convinzione che si possa lavorare nello sport come atleti e che questa sia “la professione” svolta. Temiamo che questa convinzione, purtroppo già presente, sia del tutto incompatibile con lo sport italiano in generale e a maggior ragione in questo particolarissimo momento che stiamo vivendo.

 

Così non è e la difficoltà che riteniamo maggiore sarà appunto quella di poter distinguere, nella fascia fino a euro 10.000 di corrispettivo cosa e come poter distinguere il lavoratore dall’amatore.  

 

Dalla tipizzazione sopra indicata ne deriva che altre figure tipiche dello sport (ad esempio dirigente accompagnatore, dirigente addetto agli arbitri, covid manager, medico sociale, massaggiatore) non rientrano nella disciplina specifica descritta nel decreto. Queste ultime figure, pertanto, potranno essere lavoratori subordinati, autonomi o “amatori” (art. 29). 

 

A ciò si aggiunga anche la previsione dell’abolizione del vincolo sportivo nel giro di un anno che, non disciplinata in maniera adeguata  da un lato si pone il fine di agevolare il trasferimento degli atleti tra società/associazioni sportive, dall’altro elimina un’ulteriore fonte di entrata per i sodalizi sportivi di provenienza dell’atleta e potrà essere una causa di perdita di liquidità complessiva del sistema sportivo dilettantistico, come accaduto per quello professionistico in cui le risorse non transitate da un club all’altro sono state canalizzate verso spese aggiuntive (prevalentemente ingaggi e fee a procuratori). Senza anche qui aver tenuto presente questo cosa possa significare per l’equilibrio di bilanci che potrebbero aver valorizzato il diritto sulle prestazioni degli atleti. Questo produrrà un incremento del ruolo degli agenti, oggetto tra parentesi dell’atto di Governo n. 226, che produrranno ulteriori costi a carico dei club.

 

Nessuna tutela o incentivo viene dato a chi voglia costituire o gestire una società o associazione sportiva dilettantistica. Avremo tanti lavoratori senza datori di lavoro?

 

Viene previsto che la contrattazione collettiva avvenga attraverso “ le organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale delle categorie dei lavoratori sportivi”. Di cosa siano non c’è cenno nelle definizioni dell’art. 2 che ricorda solo le associazioni giocatori. Detti contratti sarà sufficiente che li firmino le attuali ed esistenti associazioni di giocatori o tecnici, o sarà necessario dare ingresso ai sindacati confederali?

 

Così come previsto dal Codice del Terzo settore anche il nuovo decreto sullo sport prevede che per gli enti dilettantistici l’attività sportiva debba essere svolta “in via stabile e principale” e disciplina, poi, la possibilità di esercitare “attività diverse” purché queste siano previste espressamente in statuto e che “abbiano carattere secondario e strumentale rispetto alle attività istituzionali secondo criteri e limiti definiti con decreto…”: è tipico di molte attività sportive avere un mix di proventi, di natura diversa, che vengono conseguiti proprio per il fine di finanziare le attività sportive (si pensi alle attività di ristorazione, di pubblicità e sponsorizzazione, di merchandising, di gestione di attività estetiche o fisioterapiche). Cosa accadrà se queste, come spesso avviene, siano di importo maggiore di quelle conseguite con lo svolgimento delle attività sportive tipiche? Non potranno essere utilizzate?

 

Il finanziamento dell’attività sportiva è storicamente fondato su tre “pilastri”: a) le quote associative e i corrispettivi specifici (quote di frequenza) connessi alla offerta di servizi sportivi; b) gli introiti promopubblicitari; c) lo svolgimento di attività commerciali a supporto dell’attività sportiva (ad esempio la vendita biglietti di ingresso alle manifestazioni,  la gestione dei posti di ristoro e dell’impianto sportivo, il merchandising).

 

I corrispettivi di cui alle lettere b) e c) costituiscono per le nostre associate i proventi assolutamente prevalenti e dei quali appare impossibile farne a meno. Cosa possa accadere nel caso in cui così fosse non viene indicato ed è altra criticità che deve essere rimarcata con la massima energia.

 

Nel merito dell’atto di Governo in esame sul riordino degli enti e sul lavoro sportivo

 

Definizioni

 

Già la lettura delle definizioni, contenute all’articolo 2, lascia qualche margine di incertezza.

 

La parola sport (punto ll) viene così declinata: “qualsiasi forma di attività fisica fondata sul rispetto di regole ….”. Ma, allora, ci si dovrà porre il problema di come classificare le c.d. “attività motorie”, ossia quelle che vengono svolte all’aperto o che vengono fatte nelle palestre e che non hanno “regole” di svolgimento (ognuno alle macchine le gestisce secondo le proprie personali esigenze). Queste ultime vengono espressamente definite quale “… movimento esercitato dal sistema muscolo – scheletrico che si traduce in un dispendio energetico superiore a quello richiesto in condizioni di riposo”.

 

Stante la separazione definitoria tra le 2 attività, sembrerebbe ricavarsi che le attività fisiche, normalmente svolte negli impianti sportivi e non finalizzate alla pratica di una disciplina sportiva riconosciuta con “regole” siano da qualificarsi quali “motorie” e, come tali, ci si perdoni la banalità “non sportive”. Diventerebbe quindi necessario meglio comprendere quale sia la disciplina applicabile all’una fattispecie rispetto all’altra. Ecco che la suddivisione di disciplina tra settori in cui prevalga la pratica dell’attività motoria (in cui dovrebbero dominare i chinesiologi) e quella sportiva (ove vi sarebbero i tecnici “patentati” dalle Federazioni e dagli enti) suggerita in premessa avrebbe facilmente risolto questo aspetto

 

Impianto sportivo viene definito quello preposto: “… allo svolgimento di manifestazioni sportive, comprensiva di uno o più spazi di attività sportiva dello stesso tipo o di tipo diverso, la zona spettatori, nonché eventuali servizi accessori e di supporto”.  Ma se così fosse il tipico spazio dove viene svolta ginnastica a corpo libero, non idoneo a ospitare eventi, in quanto non omologabile ad esempio per dimensioni ridotte, in cui non vi è alcuno spazio per gli spettatori, come dovremmo intenderlo? Questo diventa fondamentale anche ai fini della applicazione della disciplina recata dall’atto di governo n. 227 recante il riordino delle norme di sicurezza per la costruzione e l’esercizio degli impianti sportivi.

 

Come lavoratori sportivi vengono inquadrati solo gli atleti, allenatori, istruttori, direttori tecnici, direttori sportivi, preparatori atletici e direttori di gara. Solo nei loro confronti troverà applicazione la nuova disciplina che verrà meglio di seguito sintetizzata.

 

Quindi per le figure diverse nei confronti delle quali fino a oggi si è applicata, per i compensi, la disciplina di cui all’articolo 67, comma 1, lettera m (vedi ad esempio le collaborazioni amministrativo – gestionali) non si applicheranno le nuove regolare sul lavoro sportivo dilettantistico.

 

Questo comporterà, ad esempio, che l’attuale collaboratore inquadrato oggi come “amministrativo gestionale” che ricevesse compensi eccedenti la fascia esente dei 10.000 euro (che, come vedremo, lo porterà a rendere imponibili, sia fiscalmente sia previdenzialmente l’intero importo percepito) sarà soggetto alle aliquote previdenziali piene e non potrà godere degli scaglioni previsti per i soggetti definiti quali “lavoratori sportivi”.

 

Enti sportivi

 

Nel delineare il Registro (che non dovrebbe più essere gestito dal Coni quanto dal dipartimento sport presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri) viene indicato che lo stesso certifica l’effettiva natura dilettantistica dell’attività svolta. Questo aspetto riverbera sulla disciplina del Terzo settore, dove viene prevista tra le attività di interesse generale, lo svolgimento di attività sportive dilettantistiche. Appare chiaro che per poterla considerare tale detto ente del terzo settore dovrà essere iscritto anche al Registro delle sportive. Questo comporterà un obbligo di doppia iscrizione e di doppi adempimenti conseguenti che sicuramente non rientrava tra le finalità del Runts che aspirava ad essere, appunto, il registro “unico” del Terzo settore e di cui i sodalizi interessati avrebbero volentieri fatto a meno.

 

La disciplina del registro trova compiuta normazione nell’atto di governo 228 recante semplificazione di adempimenti relativi agli organismi sportivi. Vengono indicati come documenti da allegare alla domanda di iscrizione una serie di dati (tipo tesserati, contratti con i tecnici, impianti usati) che normalmente non possono essere posseduti all’atto della iscrizione al registro se, come si crede, questo dovrà diventare l’atto propedeutico allo svolgimento di qualsia forma di attività sportiva dilettantistica. Viene previsto l’obbligo, anche per le associazioni, di deposito del bilancio mentre non sembra sussistere l’obbligo di deposito dello statuto. Se così fosse rimarrà in capo all’ente affiliante l’onere di verificare la sussistenza dei requisiti statutari previsti dalle norme in esame al fine della affiliazione del sodalizio sportivo richiedente?

 

Si prevede l’obbligo di devoluzione del patrimonio in caso di scioglimento del sodalizio sportivo. Nulla viene detto, invece, nel caso in cui la società o associazione sportiva chiedesse, senza sciogliersi, la cancellazione dal registro e non provvedesse alla riaffiliazione. In tal caso perderà il patrimonio?

 

Da salutare con assoluto favore l’introduzione di un meccanismo automatico di riconoscimento della personalità giuridica. Andrà chiarito, come già indicato anche nella disciplina sul terzo settore, come questo riconoscimento si possa rapportare con quello previsto dall’art. 14 del codice civile.

 

Vengono ritenute sportive dilettantistiche le associazioni, dotate o no di personalità giuridica, le società “di cui al Libro V Titolo V, cod. civ.”. Lascia perplessi l’abrogazione della possibilità di costituire società sportive dilettantistiche in forma di cooperativa (disciplinate dal Libro VI, una dimenticanza?) e l’introduzione, invece, della possibilità di costituirsi in forma di società di persone, fattispecie le cui caratteristiche, almeno apparentemente, non paiono essere di estremo interesse per il mondo dello sport.

 

Non vi è dubbio che la mancata ricomprensione delle cooperative, ove come si auspica non venisse sanata nel percorso di entrata in vigore del decreto, costringerà le sportive esistenti in tale forma a trasformarsi in società di capitali o di persone. Ma questo dovrà avvenire prima della entrata in vigore del nuovo decreto, e in assenza di certezze sulla sua approvazione. Altrimenti si correrebbe il rischio, a decreto approvato, di non poter più godere delle agevolazioni fiscali previste per lo sport dilettantistico. Un grosso pasticcio che ci si augura possa essere risolto prima della approvazione del provvedimento.

 

Viene chiarito, positivamente, che l’incompatibilità nelle cariche direttive dei sodalizi dilettantistici sussiste “per qualsiasi carica” e non come ora ove l’indicazione “nella medesima carica” porta al possibile equivoco di far ritenere compatibile la carica di Presidente di un club con quella di consigliere di altro club aderente alla medesima Federazione.

 

Tra le disposizioni tributarie si confermano quelle già indicate dall’articolo 90, L. 289/2002 (che viene in gran parte abrogata): la non applicazione della ritenuta del 4% prevista dall’articolo 28, D.P.R. 600/1973 sui contributi erogati dal Coni e dalle Federazioni, l’imposta di registro in misura fissa sugli atti costitutivi e di trasformazione delle sportive e la presunzione di spesa pubblicitaria delle sponsorizzazione fino a 200.000 euro. Si continua qui a definire “fondazioni costituite da istituzioni scolastiche o da associazioni sportive scolastiche” e non si applica il termine “gruppo sportivo scolastico” usato invece dalla legge delega. Si suggerisce di uniformarlo.

 

In merito alla gestione degli impianti, l’articolo 12, comma 2 prevede: “… la gestione è affidata in via preferenziale a società e associazioni sportive dilettantistiche”. Il successivo comma 3 “Gli affidamenti di cui al comma 2 sono disposti nel rispetto delle disposizioni del codice dei contratti pubblici di cui al D. Lgs. 50/2016 e della normativa euro – unitaria vigente”. Come potrà il comma 3, garante della par condicio, essere compatibile con il comma 2 che prevede un affidamento in via preferenziale? Il tema dell’impiantistica sportiva in questo periodo di pandemia è caldissimo e scarsa chiarezza normativa sul punto (in quanto, ad esempio, la legge delega arrivava anche a prevedere la possibilità di un affidamento diretto) potrebbe avere effetti nefasti.

 

Tralasciamo la parte sulle sportive professionistiche in quanto riproduce, sostanzialmente, i contenuti già attualmente in vigore previsti dalla L. 91/1981. Ci sia consentito solo un accenno al comma sette dell’art. 13 laddove si parla di “tifosi” senza chiarire quando un soggetto possa considerarsi tale.

 

Atleti

 

L’articolo 15 prevede che l’atleta con il tesseramento “instaura un rapporto associativo con la propria associazione o società sportiva”. L’affermazione appare foriera di problematiche interpretative in quanto è palese che il tesseramento a una Federazione o a un Ente di promozione sportiva, per come delineato oggi e per come comunque descritto al comma 2 del citato articolo costituisce solo una “licenza” di svolgimento dell’attività sportiva senza alcun riferimento alla sussistenza di vincoli negoziali tra la persona fisica e il sodalizio che ha richiesto il tesseramento. Sotto questo profilo, specialmente con le società di capitali, si crea un contrasto con le norme costitutive della fattispecie delle società di capitali irrisolvibile.

 

L’art. 16 prevede una disciplina articolata per il tesseramento degli atleti minorenni senza, però, chiarire cosa accada nel caso in cui non siano rispettate le prescrizioni ivi indicate

 

Disposizioni in materia di lavoro sportivo

 

Sono considerati lavoratori sportivi: “l’atleta, l’allenatore, l’istruttore, il direttore tecnico, il direttore sportivo, il preparatore atletico, e il direttore di gara che senza alcuna distinzione di genere e indipendentemente dal settore professionistico o dilettantistico, esercita l’attività sportiva verso un corrispettivo al di fuori delle prestazioni amatoriali di cui all’articolo 29”. Va evidenziato che, contrariamente a quanto oggi previsto dalla L. 91/1981, non viene più indicato come presupposto la continuità della prestazione per identificarla come “lavoro” ma solo la sua onerosità.

 

Non esiste, invece, una norma di collegamento rispetto a lavoratori già inquadrati come lavoratori subordinati o autonomi nelle mansioni indicate alla data di entrata in vigore del decreto.

 

Saranno attratti nella nuova disciplina (e, quindi, ad esempio potranno godere della decontribuzione totale o parziale inserita per il 2021 e il 2022 nella bozza di Legge di Bilancio 2021) o manterranno le regole oggi applicate? La riforma non tiene in minima considerazione i soggetti che già operano nel mondo dello sport in modo professionale. I non pochi tecnici che hanno già partita Iva potranno beneficiare delle agevolazioni previste dalla riforma (fiscalizzazione degli oneri previdenziali per i primi 2 anni e aliquote contributive ridotte) oppure assisteremo alla coesistenza di un doppio regime applicabile a soggetti che svolgono la medesima attività e hanno il medesimo inquadramento?

 

Si sottolinea come non si sia assolutamente tenuto conto dell’indicazioni presenti nella legge delega di privilegiare la specificità del mondo sportivo; si sono semplicemente innestate norme generali, civilistiche e lavoristiche, sul tessuto sportivo, senza assolutamente tenere conto delle indicazioni che non solo la giurisprudenza ma anche la prassi amministrativa (in materia vedi circolare n. 1/2016 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro) e la legislazione emergenziale con la qualificazione di lavoratori dei soggetti percettori di compensi sportivi avevano ormai dato per acquisite. Si era già formato un giudicato, anche da parte della stessa Suprema Corte di Cassazione, sulla “atipicità” del lavoro sportivo dilettantistico di cui non si è tenuto assolutamente conto.

 

Si è persa l’occasione per “tipizzare” il lavoro sportivo, in quanto è previsto che l’inquadramento del lavoratore debba rientrare nelle attuali ordinarie tipologie giuslavoristiche. Il lavoratore sportivo potrà assumere la qualifica di lavoratore dipendente, co.co.co. o lavoratore autonomo anche occasionale. Questo approccio rischia di essere foriero di contestazioni da parte degli organi ispettivi, nonché di rivendicazioni da parte dei lavoratori. Ad esempio gli atleti “professionisti” in caso di retrocessione al campionato dilettantistico potranno ricevere un inquadramento diverso da quello di lavoratori subordinati fino ad allora goduto?

 

Mentre oggi non vi è dubbio che, ad esempio in caso di retrocessione da un campionato professionistico a uno dilettantistico, muti proprio la natura giuridica del rapporto e, pertanto, il vecchio contratto professionistico si annulli, siamo così certi che avverrà anche domani, una volta che, appunto, si è delineata una unica figura di lavoro sportivo subordinato, sia per il settore professionistico sia dilettantistico? Il rischio è che in caso di retrocessione, a mio avviso, almeno sotto l’aspetto civilistico, rimangano in vita i “vecchi” contratti e i costi collegati. Idem, in caso di promozione. Potrebbe forse mutare solo il contratto collettivo di riferimento. Credo che questo sia un altro problema che andrebbe affrontato: l’atleta che nella precedente stagione era titolare di un contratto di lavoro subordinato, potrà cambiare inquadramento l’anno successivo? Temo di no facendo anche riferimento al noto principio della indisponibilità del rapporto di dipendenza statuito dalla Corte Costituzionale e ricordo che per tali rapporti non sono previste aliquote ridotte o di vantaggio. Questo perché il Legislatore ha individuato una unica fattispecie di lavoro sportivo subordinato, coniugato poi per il professionismo con una presunzione di subordinazione. La norma, poi, espressamente ricorda che: “ai rapporti di lavoro sportivo si applicano, in quanto compatibili, le norme di legge sui rapporti di lavoro nell’impresa, incluse quelle di carattere previdenziale e tributario”.

 

In questa direzione si muove anche la norma che individua, per i giovani, la possibilità di sottoscrivere contratti di apprendistato. Diventa onestamente difficile poter pensare che un giovane, dopo aver fatto l’apprendista, stipulando un nuovo contratto per le medesime attività e mansioni, possa non essere considerato come un lavoratore subordinato.

 

Per i pubblici dipendenti viene esclusa la possibilità di stipulare prestazioni di lavoro sportivo e viene riconosciuta loro solo la “strada” della prestazione amatoriale che sarà poi analizzata. Ma, prevedendosi che questa sarà tale solo fino alla soglia di corrispettivo di 10.000 euro, sembrerebbe che alle prestazioni sportive del pubblico dipendente potranno essere riconosciuti “rimborsi” solo fino a tale tetto. Questo, oggettivamente, potrà essere un problema per i numerosi atleti e tecnici appartenenti ai corpi sportivi militari e di Stato ai quali oggi come rimborso vengono riconosciute cifre di maggior rilievo.

 

Le eccezioni alla disciplina del rapporto di lavoro subordinato (ossia la non applicazione di una serie di norme essenzialmente presenti nello Statuto dei diritti dei lavoratori) già oggi presenti nella L. 91/1981 per i professionisti sono state estese anche ai lavoratori sportivi subordinati dilettanti.

 

Per il lavoro sportivo professionistico, ribadendo quanto già previsto dalla L. 91/1981, viene prevista, solo per gli atleti, la presunzione di rapporto di lavoro subordinato, salvo i 3 casi, già oggi esistenti, in cui per la bassa intensità del rapporto medesimo, questi sono individuati come collaborazioni coordinate e continuative. Con una novità i cui effetti dovranno essere approfonditi. Viene indicato che l’attività, oltre a essere continuativa, deve essere svolta come “attività principale”. Pertanto, un calciatore di serie C che svolga anche un’altra attività “potrebbe” non essere subordinato? Qualche approfondimento probabilmente appare opportuno.

 

Contrariamente alla giurisprudenza, anche della Suprema Corte, di segno contrario, viene considerato “lavoratore” anche il direttore di gara. Probabilmente in questo caso l’inquadramento dovrà essere quello della collaborazione coordinata e continuativa. Il costo a carico delle Federazioni, discipline associate e Enti di promozione sportiva non sarà trascurabile. Ma siamo proprio sicuri che la causa della prestazione arbitrale sia una causa di lavoro? L’eventuale inidoneità alla prestazione come potrà essere valutata? Sarà il giudice a dover valutare se la mancata designazione di un ufficiale di gara per un incontro costituisca trattamento discriminatorio del lavoratore?

 

L’articolo 29 disciplina le prestazioni “amatoriali”. In questo caso si applica a qualsiasi tipologia di attività in favore di un sodalizio dilettantistico. Diventano quelle per le quali l’inquadramento appare essere solo di carattere fiscale (ossia il combinato disposto di cui agli articoli 67 e 69, Tuir) in quanto: “sono incompatibili con qualsiasi forma di rapporto di lavoro, subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di lavoro con l’ente di cui il volontario è socio o associato o tramite il quale svolge la propria attività amatoriale”.

 

Da ciò ne deriva che gli importi che potranno essere riconosciuti non potranno derivare da un accordo di carattere negoziale ma dovranno essere unilateralmente determinati nella forma del rimborso spese forfettario o della indennità di trasferta o per “premi e compensi occasionali in relazione a risultati ottenuti nelle competizioni sportive”.

 

La novità, gravida di problemi, è che nel caso in cui l’amatore percepisca indennità “oltre la soglia di esenzione dei 10.000 euro” la sua prestazione si considererà di natura professionale per l’intero importo. Da qui nascerà la necessità ex post di riqualificare la prestazione e sanare i “ritardi” nei pagamenti delle ritenute previdenziali e fiscali. Chi pagherà le sanzioni per i ritardi e, più che altro, come si calcoleranno le ritenute (gli importi versati all’atleta saranno da considerarsi a questo punto lordi o netti? Se lordi l’atleta dovrà restituire le ritenute che nel frattempo ha incassato? Ove non lo faccia?).

 

Gli amatori dovranno essere assicurati contro i rischi di infortuni, malattie connesse allo svolgimento dell’attività amatoriale e per la responsabilità civile verso i terzi. Coperture più ampie (e quindi più onerose) rispetto a quelle oggi obbligatorie per i tesserati previste dall’articolo 51, L. 289/2002.

 

Dato per acclarata la prevalenza dei collaboratori sportivi dilettanti che percepiscono meno di 10.000 euro l’anno rispetto al complesso dei collaboratori sportivi, come sarà possibile distinguere un “amatore” a cui si riconosce un rimborso forfettario di 20 euro per ogni ora di lezione da un lavoratore a cui si riconosce lo stesso compenso? Il rischio è che il compito sia assunto dalla magistratura, così come è accaduto fino a oggi procedendo caso per caso e senza un criterio oggettivo che ne orienti le scelte.

 

In altri termini, permane una “zona grigia” rappresentata dalle attività sportive svolte a livello “amatoriale”, che potranno continuare a essere indennizzate attraverso rimborsi spese esenti, ove è facilmente prevedibile che in molti troveranno confortevole rifugio.

 

Novità previste per i controlli sanitari dei lavoratori sportivi. Se per gli amatori “dovrebbe” rimanere in vigore la vigente disciplina per la tutela sanitaria delle attività sportive, sia dilettantistiche sia professionistiche, l’articolo 32 dello schema di decreto “rivoluziona” i controlli sanitari dei lavoratori sportivi.

 

Intanto ne saranno coinvolti tutti i lavoratori (quindi non solo atleti ma anche tecnici, direttori sportivi e preparatori atletici). Per costoro dovrà essere prevista l’istituzione di una scheda sanitaria per tutti coloro che svolgono le prestazioni di carattere “non occasionale” (e mi piacerà capire chi sarà a stabilirlo) “nonché l’individuazione dei tempi per l’effettuazione delle rivalutazioni cliniche e diagnostiche in relazione alla tipologia dell’attività sportiva svolta e alla natura dei singoli esami da svolgere”.

 

Detta scheda sanitaria dovrà essere istituita, aggiornata e custodita a cura della Associazione o Società sportiva di appartenenza per i lavoratori dipendenti e dagli stessi sportivi per gli autonomi i quali debbono depositarne duplicato presso la Federazione o la disciplina associata (in questo caso non si capisce perché non siano indicati anche gli Enti di promozione sportiva). L’istituzione e l’aggiornamento della scheda “costituiscono condizione per l’autorizzazione da parte delle singole federazioni e discipline sportive associate allo svolgimento dell’attività dei lavoratori sportivi”. Siamo certi che le Federazioni sapranno gestire questa condizione preliminare?

 

Gli oneri per l’aggiornamento della scheda per i lavoratori subordinati grava sui club mentre per gli autonomi sul singolo sportivo. Anche in questo caso nulla viene detto su cosa accada nel caso le parti omettano di provvedere a detti aggiornamenti. Sarà la Federazione a sospenderne l’attività? E come facciamo con la tutela dei dati? Temo possa essere un grosso pasticcio.

 

Va anche ricordato che ai lavoratori sportivi (sia autonomi sia subordinati) si applicano le vigenti leggi in materia di sicurezza sul lavoro e che: “l’idoneità psico – fisica del lavoratore sportivo è certificata da un medico specialista in medicina dello sport sulla scorta di indagini strumentali”. 

 

Ma la novità è che è al suo esordio nel mondo dello sport anche il medico competente, il medico specializzato in medicina del lavoro. Se ne era già parlato nei protocolli anti Covid. Ora viene espressamente indicato che: “la sorveglianza sanitaria del lavoratore sportivo è compito del medico competente di cui all’articolo 2, comma 1, lettera h), D.Lgs. 81/2008”. Il riferimento solo al lavoratore porta a ritenere che la disposizione si applichi sia agli autonomi che ai subordinati

 

Altra new entry il “responsabile della protezione dei minori” all’interno di ogni Società e Associazione sportiva che avrà lo scopo: “della lotta a ogni tipo di abuso e di violenza su di essi e della protezione della integrità fisica e morale dei giovani sportivi”. Anche qui nulla viene detto sotto l’aspetto sanzionatorio.

 

In particolare sull’inquadramento dell’atleta degli sports di squadra

 

Fino a oggi la l. 91/81 sul professionismo sportivo in quanto norma che faceva eccezione a regole generali non era suscettibile di interpretazioni analogiche o estensive in virtù del richiamo di cui all’art. 14 delle preleggi al codice civile. Separando così nettamente la disciplina professionistica da quella dilettantistica. Nel momento in cui viene prevista oggi una unica tipologia di lavoro sportivo che può esplicarsi sia in forma professionistica che dilettantistica, nel momento in cui per la prima si prevede una presunzione di subordinazione, per il principio della indisponibilità del tipo contrattuale, in materia di rapporti di lavoro, assunta dalla Corte Costituzionale ne consegue che presumendo subordinata la prestazione dell’atleta professionista svolta come attività principale ovvero prevalente e continuativa diventa difficile giungere a diversa conclusione esaminando quella dell’atleta dilettante che si trova nelle medesime condizioni di svolgimento della prestazione.

 

Si ritiene che ben difficilmente gli indici indicati al terzo comma dell’art. 25 potrebbero far giungere a conclusioni diverse.

 

Viene previsto che la prima fascia di compenso fino a diecimila euro sia esente ai fini fiscali ma non previdenziali. Nulla viene esplicitato sul come si possano calcolare contributi previdenziali su un importo che non configuri reddito ai fini fiscali.

 

Diverse appaiono essere anche le gestioni previdenziali: quella del fondo pensioni lavoratori sportivi (ex enpals) per i professionisti (sia lavoratori autonomi che subordinati) e per i dilettanti con contratto di lavoro subordinato.

 

I lavoratori dilettanti autonomi, invece, si iscriveranno alla gestione separata Inps con tre aliquote contributive diverse a seconda che siano già titolari  di altra posizione previdenziale, che si tratti di prestazione occasionale o di cococo, che si tratti di prestazione di lavoro autonomo.

 

Questo significherà maggiori e diversi adempimenti a carico dei sodalizi sportivi che si troveranno ad avere lavoratori iscritti a gestioni previdenziali differenti.

 

In pratica, per il 2023 (quando verrebbe meno il contributo statale introdotto dalla legge di bilancio 2021) il lavoratore sportivo dilettante subordinato pagherà contributi previdenziali al 33% (salvo ulteriori aumenti), il cococo al 30% e il lavoratore autonomo al 22%. Avremo tutti i giocatori con partita iva?

 

La riforma, pertanto, dovendo applicarsi l’aliquota del 33% ai fini previdenziali e del 5,17 ai fini assistenziali produrrà un maggior carico per i club di circa il 40% del monte stipendi, rispetto ad oggi dove non venivano pagati contributi

 

In particolare sulla figura dell’amatore

 

Possono essere classificate come tali sia le figure tipizzate di lavoratore sportive che le “altre”.

 

 Potranno percepire premi e compensi occasionali e rimborsi spese forfettari e indennità di trasferta. In quest’ultimo caso si ritiene compatibile prevedere un emolumento per ogni prestazione resa (tipo pagamento ad ore effettivamente praticate o allenamenti o gare a cui si partecipa). Fino a quando l’importo da loro percepito resta sotto la soglia esente dei 10.000 euro si “dovrebbe” poter applicare l’art. 67 primo comma lett. m) purché, appunto, l’attività non abbia i connotati del lavoro autonomo o subordinato. Non è richiesta comunicazione al centro per l’impiego

 

Nel caso in cui si superasse tale limite le prestazioni sono da considerare “di natura professionale” per l’intero importo.

 

Tale fattispecie presenta comunque, a nostro avviso, delle criticità che si evidenziano nel caso in cui il percettore superasse nel periodo di imposta i diecimila euro:

 

•           quale tipo di inquadramento sarà possibile fare a posteriori (si ricorda l’obbligo di comunicazione preventiva per rapporti di lavoro subordinato o autonomo) nel caso in cui al termine del periodo di imposta il soggetto “amatore” avesse superato il tetto esente dei diecimila euro ?

•          si applica ai fini fiscali per la parte eccedente l’art. 25 l. 133 che non viene abrogato?

•          a chi spetta il versamento delle ritenute previdenziali e fiscali non versate?

•          a chi spetta l’onere in presenza di attivita’ svolta in favore di più soggetti sportivi ?

•           come distinguere per importi complessivi sotto i 10000 euro il lavoratore sportivo dall’amatore?

 

La definizione dei punti indicati appare essenziale sin dalla entrata in vigore della nuova disciplina

 

In particolare sulla figura degli amministrativo – gestionali

 

La nuova disciplina sinteticamente prevede  che siano a tutti gli effetti cococo (ma non per presunzione legislativa, pertanto attenzione ai rischi di lavoro subordinato). Fino ai 10.000 euro nessuna ritenuta fiscale e previdenziale, in caso di supero di detto limite, tutto l’emolumento è soggetto alla contribuzione previdenziale e fiscale prevista per detta fattispecie. Si ritiene che permanga l’obbligo di comunicazione al centro per l’impiego. Non si applica ai soggetti che prestano lavoro sportivo tipizzati.

 

Anche qui rimane il problema del cosa accade nel momento in cui ci si rendesse conto di aver superato la fascia esente (vedi il punto sugli amatori) e come distinguere un rapporto di lavoro subordinato da una collaborazione coordinata e continuativa a carattere amministrativo – gestionale

 

Provando a riassumere la disciplina sulle prestazioni sportive dilettantistiche

 

Lavoratori sportivi dilettanti: (atleta, allenatori, istruttori, direttore tecnico, direttore sportivo, preparatore atletico, direttore di gara): si applica l’articolo 36, comma 7 della bozza di decreto sul lavoro sportivo. Pertanto, indipendentemente dal tipo di inquadramento (lavoro subordinato, autonomo, occasionale, co.co.co) trova vigore esclusivamente ai fini fiscali “la soglia di esenzione di cui all’articolo 69 comma 2” del Tuir. Appare pertanto pacifico che per questi lavoratori sui primi 10.000 euro di compenso non ci sia carico fiscale (“non concorrono a formare il reddito”) ma si dovranno regolarmente pagare i contributi previdenziali. Sul come poi si possano calcolare sulla parte che non concorre a formare il reddito ci si augura che saranno fornite sollecite indicazioni.

 

Collaboratori amministrativo – gestionali: si applica l’articolo 37 che prevede che quando i compensi superano il citato limite dei 10.000 euro le “prestazioni sono considerate di natura professionale per l’intero importo”. Quindi, se capisco bene, saranno imponibili sia fiscalmente che previdenzialmente anche i primi 10.000 euro.

 

Amatori: si applica l’articolo 29. Anche per costoro nel caso di supero dei 10.000 euro di compensi le prestazioni: “sono considerate di natura professionale … per l’intero importo”. Pertanto, saranno imponibili sia fiscalmente sia previdenzialmente anche i primi 10.000 euro.

 

Pertanto:

15.000 euro di compenso ad atleti, istruttori o direttori sportivi:  imponibile fiscale per 5.000 euro (supero di 10.000) e previdenziale per 15.000

15.000 euro di compenso ad amministrativo – gestionali: soggetto a obblighi sia ai fini fiscali sia previdenziali per l’intero importo

15.000 euro di rimborsi spese forfettari ad amatori: soggetto a obblighi sia ai fini fiscali sia previdenziali per l’intero importo

10.000 euro di compenso ad atleti, istruttori o direttori sportivi: nessun obbligo fiscale ma soggetto a obblighi previdenziali sull’intero importo

10.000 euro di compenso ad amministrativo – gestionali: nessun obbligo di ritenute di natura fiscale o previdenziale

10.000 euro di rimborsi spese forfettari ad amatori: nessun obbligo di ritenute di natura fiscale o previdenziale

 

Infine, vengono riconosciute le professioni di chinesiologo di base, di quello sportivo e del manager dello sport per rispondere alla delega che imponeva il riconoscimento delle attività dei laureati in scienze motorie.

 

Purtroppo non essendo previste “esclusive” per le attività indicate si ritieni che pochi passi avanti abbiano fatto detti giovani laureati per un effettivo riconoscimento della loro professione.

 

Anche la previsione della loro presenza all’interno dei centri che organizzano corsi sportivi a pagamento è fortemente limitata alla equiparazione che lo stesso decreto, in analogia con quanto previsto dalla legislazione regionale in materia, compie con il tecnico diplomato da una Federazione o da un Ente di promozione sportiva.

 

E, comunque, da tale obbligo del laureato in scienze motorie sarebbero comunque esentate le attività sportive agonistiche e “le attività motorie a carattere ludico ricreativo non riferibili a discipline sportive riconosciute dal coni e dal cip tra cui il ballo e la danza nonché le attività relative a discipline riferibili a espressioni filosofiche dell’individuo che comportino attività motorie” (articolo 40, comma 4, lettera b) della nuova bozza di decreto sul lavoro sportivo).

 

In conclusione una piccola chiosa. L’art. 39 comma tre lett. a) fa riferimento a domande di contributi per l’anno 2020. Forse per una disposizione che entrerà in vigore nel 2021 c’è qualcosa che non quadra.

 

 

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Le prestazioni sportive alla luce della Legge di bilancio e dei decreti di riforma dello sport

13/01/2021 di Guido Martinelli

Approvata in via definitiva la Legge di bilancio, sono attualmente in corso davanti la settima commissione del Senato le audizioni sugli schemi di decreto legislativo approvati in prima lettura dal Consiglio dei Ministri, oggetto della delega di cui alla L. 86/2019 in materia di riforma dello sport.

 

La disciplina più impattante sulla vita dei sodalizi sportivi è data dalla nuova configurazione del rapporto di lavoro sportivo dilettantistico.

 

Tale riforma è stata, in un certo modo, anticipata dal legislatore, che ha inserito nella Legge di bilancio 2021 (articolo 1, comma 34, Legge 178/2020) una norma del seguente tenore: Al fine di garantire la sostenibilità della riforma del lavoro sportivo, è istituito … un apposito fondo, con dotazione di 50 milioni di euro per l’anno 2021 e di 50 milioni di euro per l’anno 2022, per finanziare nei predetti limiti l’esonero, anche parziale, dal versamento dei contribuiti previdenziali a carico delle federazioni sportive nazionali, discipline sportive associate, enti di promozione sportiva, associazioni e società sportive dilettantistiche, con esclusione dei premi e dei contributi dovuti all’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail), relativamente ai rapporti di lavoro sportivo instaurati con atleti, allenatori, istruttori, direttori tecnici, direttori sportivi, preparatori atletici e direttori di gara”.

 

Va ricordato che lo schema di decreto approvato in prima lettura prevede che la novella sul lavoro sportivo entrerà in vigore il 1° settembre 2021 (sull’ovvio presupposto della approvazione definitiva della stessa).

 

Ciò premesso si pone immediatamente un tema. Già oggi abbiamo molti “istruttori” ai quali non viene riconosciuto un compenso sportivo ma sono regolarmente inquadrati come lavoratori autonomi o subordinati. Ebbene, costoro (o, meglio, per la quota di contributo a carico dei loro datori di lavoro) potranno accedere al fondo già creato e quindi godere del contributo?

 

E questo anche nel caso in cui la riforma del lavoro sportivo interrompesse il suo percorso?

 

E gli istruttori che già oggi lavorano come autonomi con partita Iva, a partire da settembre potranno godere della riparametrazione delle aliquote contributive previste dalla Legge di bilancio?

 

L’istruttore che opera come autonomo sia per una sportiva che per una impresa commerciale che gestisce una palestra come si dovrà comportareApplicherà aliquote differenti per la medesima prestazione?

 

Un chiarimento si impone.

 

Questo per non citare la disposizione successiva, che prevede la sospensione (per le società sportive professionistiche e dilettantistiche che hanno il domicilio fiscale, la sede legale o la sede operativa nel territorio dello Stato e operano nell’ambito di competizioni sportive in corso di svolgimento ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 24 ottobre 2020”) dai versamenti delle ritenute e degli adempimenti e dei versamenti dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l’assicurazione obbligatoria, in scadenza dal 1° gennaio 2021 al 28 febbraio 2021.

 

I versamenti sospesi ai sensi del comma 36 sono effettuati, senza applicazione di sanzioni e interessi, in un’unica soluzione entro il 30 maggio 2021 o mediante rateizzazione fino a un massimo di ventiquattro rate mensili di pari importo, con il versamento della prima rata entro il 30 maggio 2021.

 

A prescindere del riferimento ad un D.P.C.M. i cui effetti sono scaduti da tempo, cosa si dovrà intendere per competizioni sportive in corso di svolgimento?

 

Se è chiaro il riferimento alle discipline di squadra dilettantistiche e professionistiche che stanno attualmente disputando i loro campionati a porte chiuse, la società sportiva che avesse già qualificato un atleta per le attività individuali che è in attesa della disputa delle fasi finali del proprio campionato di categoria, rientra tra i soggetti che potranno beneficiare della proroga dei versamenti? Anche qui, facendo riferimento a scadenze imminenti, un sollecito chiarimento appare auspicabile.

 

Per tornare alla riforma dello sport potremmo sintetizzare che, per gli sport di squadra, almeno per le categorie nazionali siamo arrivati al “professionismo” generalizzato.

 

Infatti, fino a oggi, la L. 91/1981 sul professionismo sportivo, in quanto norma che faceva eccezione a regole generali, non era suscettibile di interpretazioni analogiche o estensive in virtù del richiamo di cui all’articolo 14 delle preleggi al codice civile.

 

Veniva così nettamente separata la disciplina professionistica da quella dilettantistica.

 

Nel momento in cui viene prevista nello schema di decreto una unica tipologia di lavoro sportivo che può esplicarsi sia in forma professionistica che dilettantistica e si prevede una presunzione di subordinazioneper il principio della indisponibilità del tipo contrattuale, in materia di rapporti di lavoro, assunta dalla Corte Costituzionale, ne consegue che, ritenuta subordinata la prestazione dell’atleta professionista svolta come attività principale ovvero prevalente e continuativa, diventa difficile giungere a diversa conclusione esaminando quella dell’atleta dilettante che si trova nelle medesime condizioni di svolgimento della prestazione.

 

In più con aliquote previdenziali piene (le agevolazioni sulle aliquote nella riforma sono infatti previste solo per il lavoro autonomo).

 

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La riforma dello sport e il codice del terzo settore

11/12/2020 di Guido Martinelli

Appare interessante analizzare lo schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri in attuazione dell’articolo 5 L. 86/2019recante il riordino e riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici, nonché di lavoro sportivo, raffrontandolo con la disciplina vigente del codice del terzo settore (D.Lgs. 117/2017).

 

Il primo punto da sottolineare è l’articolo 5, comma 2, laddove viene previsto che gli enti sportivi dilettantistici “ricorrendone i presupposti possono assumere la qualifica di enti del terzo settore … e di imprese sociali, in tal caso le norme del presente decreto trovano applicazione solo in quanto compatibili”.

 

Si conferma, pertanto, la possibilità del doppio binario. Un sodalizio, quindi,

 

  • potrà rivestire solo lo status di società o associazione sportiva dilettantistica, in tal senso applicherà le norme dei decreti in corso di emanazione e applicherà la disciplina fiscale prevista per le sportive (sul punto si veda anche la circolare AdE 18/E/2018),
  • oppure potrà ricoprire “anche” la natura di ente del terzo settore (nelle sue varie diramazioni: organizzazione di volontariato, associazione di promozione sociale, impresa sociale, altri enti del terzo settore) e, in tal caso, applicare esclusivamente la disciplina specifica prevista per tale fattispecie, oltre a quella sportiva, per quanto compatibile.

 

Importante richiamo lo ritroviamo anche all’articolo 7, ove per la definizione di divieto di scopo di lucro indiretto si fa riferimento all’analogo contenuto del D.Lgs. 112/2017 per l’impresa sociale.

 

Così come previsto dal codice del terzo settore (vedi gli articoli 5 e 6, disciplinanti le attività di interesse generale e diverse) anche il nuovo decreto sullo sport prevede che, per gli enti dilettantistici, l’attività sportiva debba essere svolta “in via stabile e principale” e disciplina, poi, all’articolo 8 (che rubrica “Attività secondarie e strumentali”la possibilità di esercitare “attività diverse”, purché queste siano previste espressamente in statuto e che “abbiano carattere secondario e strumentale rispetto alle attività istituzionali secondo criteri e limiti definiti con decreto…”.

 

Con l’auspicio che, una volta entrata in vigore la riformanon si ripeta, per l’approvazione di questo decreto, quanto sta accadendo nel terzo settore (nell’ambito del quale, ad oltre tre anni dalla entrata in vigore del codice, si sta ancora attendendo il decreto sulle attività diverse), non possiamo non temere gli effetti di questa norma: è tipico di molte attività sportive avere un mix di proventi, di natura diversa, che vengono conseguiti proprio per il fine di finanziare le attività sportive (si pensi alle attività di ristorazione, di pubblicità e sponsorizzazione, di merchandising, di gestione di attività estetiche o fisioterapiche).

 

Cosa accadrà se queste, come spesso avviene, siano di importo maggiore di quelle conseguite con lo svolgimento delle attività sportive tipiche? Non potranno essere utilizzate? Una risposta urgente sul punto appare necessaria.

 

Un altro punto di contatto è tra la disciplina delle Ssd e quella della impresa sociale. Infatti, l’articolo 7, comma 3, per le società sportive, di persone o di capitali, è identico, nel contenuto, all’articolo 3, comma 3, D.Lgs. 112/2017 per le imprese sociali.

 

Viene prevista, in entrambe le fattispecie, la possibilità di destinare “una quota inferiore al cinquanta per cento degli utili e degli avanzi di gestione annuali” ad aumento gratuito di capitale, oppure la distribuzione di dividendi ai soci in misura comunque non superiore all’interesse massimo dei buoni postali fruttiferi, aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato.

 

Rimane, però, irrisolta (e forse aggravata) la questione, per le sportive che assumeranno la veste anche di enti del terzo settore, del come inquadrare, nella disciplina del codice del terzo settore, il rapporto con gli odierni percettori dei c.d. compensi sportivi, ovvero della previsione contenuta nell’articolo 67, comma 1, lett. m), Tuir.

 

Infatti la riforma sullo sport li suddivide tra lavoratori e “amatori”. La categoria dei lavoratori appare sicuramente speculare a quella già indicata nel codice del terzo settore: pertanto per costoro non paiono presentarsi dubbi interpretativi. Chi è “lavoratore” per l’emanando decreto sullo sport, lo sarà anche per la disciplina del terzo settore.

 

I problemi nascono con la categoria degli “amatori”. Infatti il codice del terzo settore contrappone ai lavoratori i volontari, ritenendo tali coloro i quali svolgono la loro attività in maniera gratuita escludendo: “in ogni caso (…) rimborsi spese di tipo forfettario”.

 

Gli amatori dello sport, invece, possono ricevere “indennità di trasferta e rimborsi spese anche forfettari” entro il vigente limite dei 10.000 euro l’anno.

 

Pertanto gli amatori dei club sportivi che accederanno al terzo settore dovranno rimanere senza rimborso spese forfettario? Allo stato attuale la risposta non può che essere affermativa.

 

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Il Registro Unico Nazionale del Terzo settore: alcune considerazioni di carattere fiscale

12/10/2020 di Guido Martinelli

In attesa della ormai imminente uscita in Gazzetta Ufficiale, sul sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali è stato nel frattempo pubblicato il Decreto ministeriale n. 106 del 15.09.2020 che disciplina le procedure per l’iscrizione e per la cancellazione degli enti dal registro unico nazionale del terzo settore (di seguito Runts) nonché i documenti da presentare ai fini della iscrizione, in attuazione di quanto previsto dall’articolo 53, comma 1, D.Lgs. 117/2017 (di seguito codice del terzo settore o cts).

 

Il comma 2 assegna alle Regioni e alle Provincie autonome 180 giorni (termine ordinatorio, evidenziamo) per la predisposizione della struttura informatica che renderà operativo il Registro.

 

L’articolo 30 del decreto in esame prevede che sarà il Ministero, con provvedimento dirigenziale, verificato lo stadio di realizzazione del sistema telematico, a determinare il termine a decorrere dal quale ha inizio il processo di trasferimento al Runts dei dati relativi agli enti già iscritti ai registri regionali delle organizzazioni di volontariato (odv) e delle associazioni di promozione sociale (aps).

 

Da tale data i soggetti neocostituiti o quelli già in essere che intendono assumere la veste di odv o aps potranno presentare la domanda di iscrizione, venendo meno, da quel momento, la possibilità di iscriversi airegistri previsti dalle, a quel punto definitivamente abrogatenorme di settore (L. 266/1991 e L. 383/2000).

 

Fermiamoci un attimo sulle procedure previste per gli enti che già oggi possono qualificarsi odv o aps.

 

L’articolo 31 prevede che, entro i successivi 90 giorni, le Regioni e le Province comunicheranno i dati delle associazioni presenti nei loro registri.

 

Proviamo a collocare nel tempo questi adempimenti: Decreto 106/2020 in G.U. a metà ottobre, operatività del Runts, nella migliore delle ipotesi (180 giorni dopo), metà aprile; trasmigrazione dei dati (altri 90 giorni) metà luglio 2021.

 

A questo punto (articolo 31, comma 4ciascun ufficio regionale o provinciale del Runts verificherà “entro centottanta giorni la sussistenza dei requisiti per l’iscrizione degli enti di propria competenza”.

 

Importante sottolineare che il decreto prevede che i requisiti di presenza, per gli enti che associno a loro volta altre associazioni, previsti per le odv (gli enti diversi dalle odv associate non potranno essere superiori al 50% del numero delle odv presenti) e per le aps (analogo) saranno verificati alla data antecedente il “dies a quo” indicato dall’articolo 30 da cui deriva tutta la procedura.

 

Nel caso in cui, dalla verifica dei requisiti, emergessero motivi ostativi alla iscrizione, l’ufficio potrà concedere altri sessanta giorni all’ente per procedere alla regolarizzazione.

 

Nel frattempo, essendo ottimisti, siamo così arrivati ai primissimi mesi del 2022.

 

Nel corso di tale periodo le odv e aps oggetto di indagine “continuano a beneficiare dei diritti derivanti dalla rispettiva qualifica”.

 

Ma proprio qui si pone il problema: quale sarà, nel frattempo, la disciplina fiscale applicabile a detti enti?

 

Ovviamente il presupposto è che, nel corso del 2021, si ottenga anche l’autorizzazione da parte della U.E. per l’entrata in vigore del titolo X del cts a partire dal 1° gennaio 2022.

 

In questo caso, pur non essendo ancora “formalmente” iscritte al Runts, potranno le associazioni in esame già applicare le agevolazioni fiscali previste o, in caso contrario, essendo nel frattempo venuta meno, a seguito della integrale entrata in vigore del cts, la disciplina fiscale agevolativa precedente, si troveranno per un certo numero di settimane a non aver più diritto al alcuna agevolazione?

 

E nel caso in cui potessero applicare le agevolazioni di cui al titolo X e poi non si perfezionasse l’iscrizione al Runts, queste manterranno la loro validità?

 

Attenderemo doverosi chiarimenti da parte della Agenzia delle entrate.

 

Va segnalato che la lettera c) del comma 5 dell’articolo 8 prevede che, tra la documentazione da trasmettere al Runts in sede di iscrizione, vi siano anche, per gli enti in attività da uno o più esercizi, “l’ultimo o gli ultimi due bilanci consuntivi approvati”.

 

Se questi, per gli enti che sono già oggi odv o aps dovranno essere conformi al decreto (già in vigore) previsto dal comma 3 dell’articolo 13 cts, per i “nuovi” saranno necessariamente “in forma libera” e, pertanto, non comparabili e non verificabili principalmente in riferimento alla verifica richiesta di commercialità o meno dell’attività.

 

A questo punto rimaniamo in “sollecita” attesa del decreto sulle attività diverse di cui all’articolo 6 del cts che dovrà fornire l’ultimo tassello per valutare al meglio il se un ente possa richiedere l’iscrizione al Runts e se gli converrà farlo.

 

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Il concetto di democrazia negli statuti delle Ssd

07/10/2020 di Guido Martinelli

Il comma 17 dell’articolo 90 L. 289/2002 ha codificato nel nostro ordinamento le società di capitali sportive dilettantistiche senza scopo di lucro, ormai universalmente definite come Ssd.

 

In realtà il panorama sportivo già alla data di entrata in vigore di detta norma vedeva presenti molte società di capitali dilettantistiche senza scopo di lucro.

 

Il presupposto per la loro costituzione era dato dalla L. 91/1981 sul professionismo sportivo, che allora prevedeva, per le società sportive professionistiche, la costituzione in società di capitali non profit, disciplina che veniva applicata, in via analogica, anche nel mondo dilettantistico.

 

In più, la legge istitutiva del Coni, parlando di società e associazioni, aveva fatto ritenere ammissibile l’utilizzo di tale figura giuridica che, inizialmente, aveva come fine la richiesta di mutui dell’istituto per il credito sportivo che allora potevano essere concessi solo a società sportive dotate di responsabilità limitata.

 

Si discusse sulla natura di questi enti, in particolare anche alla luce della circolare n. 21/2003 della Agenzia delle entrate che in proposito scriveva: “ In particolare, viene introdotta una nuova tipologia di società di capitali che si caratterizza per le finalità non lucrative e che si inserisce nell’ordinamento giuridico come una peculiare categoria di soggetti societari”.

 

L’esame letterale dell’articolo 90, comma 17, lett. c (“…società sportiva di capitali costituita secondo le disposizioni vigenti”) e comma 18, lett. e  (“le società sportive … per le quali si applicano le disposizioni del codice civile”) portò però a ritenere che le Ssd dovessero considerarsi, a tutti gli effetti, società disciplinate dal quinto libro del codice civile (e, quindi, soggette comunque agli adempimenti da questo previsti indipendentemente dalle agevolazioni fiscali godute) e quindi che non debbono e possono essere considerate società di diritto speciale.

 

La legittimazione era legata alla distinzione che veniva fatta tra lucro oggettivo e soggettivo.

 

Il primo pacificamente ammesso stante la natura di impresa del soggetto in questione; il secondo, ossia la distribuzione del profitto tra gli associati, tassativamente vietato.

 

Ciò premesso il comma 1 del medesimo articolo 90 prevede che alle Ssd si possano applicare “le altre disposizioni tributarie riguardanti le associazioni sportive dilettantistiche”: principale tra queste, per quanto oggi di nostro interesse, l’articolo 148, comma 3, Tuir.

 

In particolare il problema che oggi si pone è se le SSd debbano inserire nei loro statuti le specifiche clausole previste dal comma 8 dell’articolo 148 Tuir al fine di poter godere della defiscalizzazione dei corrispettivi specifici previsti dal comma 3.

 

Tra queste, in particolare, quelle concernenti la democraticità del rapporto associativo previste dalle lettere c) ed e) della citata disposizione agevolativa.

 

Lo spunto per questa riflessione nasce da una sentenza della CTR Marche (sez. II, n. 295 del 22.06.2020), la quale respinge il ricorso proposto da una Ssd avverso un accertamento dell’Agenzia, confermato in primo grado.

 

I giudici di appello, dopo aver ricordato la costante giurisprudenza della Suprema Corte, secondo la quale deve prevalere, ai fini della utilizzabilità delle agevolazioni fiscali previste dalle norme in esame per il mondo dello sport dilettantistico, la sostanza sulla forma, analizzano se la contribuente abbia i requisiti per godere della agevolazione di cui all’articolo 148, comma 3, Tuir, in particolare se l’attività sia conforme a statuto e se l’attività sia rivolta a terzi.

 

Contraddittorio appare il chiedersi, come si propone il Giudicante, se l’attività sia conforme a statuto, dopo aver affermato che la ricorrente “è indubitabilmente una società sportiva dilettantistica ai sensi dell’articolo 90”.

 

Se così non fosse non potrebbe avere i requisiti per il riconoscimento ai fini sportivi legato all’iscrizione al Registro Coni, regolarmente posseduta dalla Ssd.

 

Ma il punto che a noi più interessa è quello dove viene indicato che lo statuto avrebbe dovuto possedere: “indefettibili requisiti… tra i quali rientra, diversamente da quanto opina parte appellante, anche quello della democraticità delle attività svolte”.

 

Ciò comporta, secondo il giudizio della Commissione, “che il tesserato della ssd deve volere ed essere consapevole che mediante la richiesta di iscrizione, egli diviene centro di imputazione di diritti e di doveri in seno alla ssd”.

 

Onestamente non si comprende quale rapporto, sotto il profilo civilistico, possa assumere il tesserato secondo la prospettazione dei Giudici di Appello.

 

Possiamo solo ricordare che l’Agenzia delle entrate, nella sua circolare 18/E/2018 ha confermato che le “società sportive dilettantistiche non sono soggette all’obbligo di prevedere statutariamente la clausola della democraticità, valevole invece per le associazioni sportive dilettantistiche”: conseguentemente, queste, a differenze della Asd “non devono integrare i propri statuti con le clausole concernenti la democraticità del rapporto associativo previste dalle lettere c) ed e) del comma 8 dell’articolo 148 del Tuir”.   

 

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